News - Febbraio/Marzo

Dossier “Nuovo Codice degli Appalti Pubblici”: iter di approvazione e panoramica dei contenuti.

C’è grande fermento, tra gli operatori del settore, attorno alla recente approvazione del nuovo “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”, ossia del testo normativo che a breve andrà a sostituire l’attuale d.lvo 163/06 (a nemmeno dieci anni dalla sua introduzione) oltre che a rivedere, più in generale, l’intero quadro normativo in tema di appalti pubblici.
Infatti, dopo la pubblicazione della legge delega n.11 del 28 gennaio 2016, nella seduta del 3 marzo scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto attuativo, il cui testo è ora al vaglio del Consiglio di Stato, della Conferenza Unificata e delle competenti Commissioni di Camera e Senato. Si tratta dunque di un testo, è bene precisarlo, ancora provvisorio e soggetto a qualche modifica, che però di certo diventerà legge in tempi brevi, visto che il 18 aprile verrà a scadenza il termine utile per dare attuazione alle direttive comunitarie su appalti e concessioni che hanno reso necessario questo nuovo intervento del nostro Legislatore.
Si segnala che entrambi i testi, della legge delega e del decreto attuativo, sono reperibili sul nostro sito internet, alla sezione “Normative” e poi “Contratti pubblici, contabilità e finanza”.
Sicuramente le nuove norme introducono una piccola “rivoluzione Copernicana” nella disciplina degli appalti pubblici, a partire dalla drastica riduzione del numero di articoli, dal momento che viene ora condensata in 219 articoli la disciplina che prima occupava i 256 articoli del d.lvo 163/06 ed i 359 articoli del d.p.r.207/10, di cui ora è prevista l’abrogazione.
Ma le novità non sono solo stilistiche, ma anche sostanziali, ed è proprio in quest’ottica si è pensato di istituire un Dossier permanente all’interno della nostra Newsletter, che di volta in volta cercherà di segnalare ed approfondire alcune tra le più rilevanti innovazioni, accordando la preferenza a quelle che ci fossero direttamente segnalate dai lettori come particolarmente degne di nota.
Al momento -in attesa che, come si diceva, il testo diventi definitivo- in questo numero si vuole offrire una prima panoramica del nuovo Codice, segnalandone la struttura organizzativa e le novità più rilevanti, a tal fine avvalendoci della stessa Relazione Illustrativa (di fonte governativa) che ha accompagnato l’approvazione del decreto.
La struttura del nuovo Codice dei contratti pubblici
Il nuovo codice si ispira a criteri di semplificazione, snellimento, riduzione e razionalizzazione delle norme vigenti in materia, nel rispetto del divieto di c.d. gold plating, ossia di introdurre o mantenere di livelli di regolazione nazionali superiori a quelli minimi richiesti dalle nuove direttive europee.
Esso reca una disciplina auto-applicativa, che non necessita, dunque, di un Regolamento di esecuzione ed attuazione. Viene infatti abrogato l’attuale d.p.r. 207/10, che sarà sostituito da emanande Linee guida di carattere generale, da approvarsi con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta dell’ANAC e previo parere delle competenti commissioni parlamentari (si tratta della c.d. soft law). Il vantaggio di questo nuovo impianto, almeno nelle intenzioni del Governo, è quello di consentire il loro aggiornamento costante e celere, coerentemente con i mutamenti del sistema. E’ stato in ogni caso previsto un regime transitorio, ossia una limitata salvezza temporale di alcune norme del regolamento, relative specificatamente alla contabilità, alle verifiche e ai collaudi, per consentire l’immediata applicabilità della nuova normativa.
Il Codice contiene una parte iniziale, dove sono definiti l’oggetto e l’ambito di applicazione, il riparto delle competenze Stato-regioni, le definizioni, nonché i contratti esclusi in tutto, o in parte, dall’applicazione del codice medesimo e l’individuazione della specifica disciplina ad essi applicabile. La prima attività che una amministrazione è tenuta a svolgere, infatti, è verificare se la disciplina del Codice si applichi o meno alla fattispecie che la riguarda in quel momento.
Subito dopo è dettata la disciplina in tema di pianificazione, programmazione e progettazione. Un’amministrazione efficiente è, infatti, un’amministrazione che sa pianificare e programmare. Un “buon progetto” diventa garanzia di un “buon appalto”: non ci può essere una buona opera, se non è ben progettata.
Quindi si passa alle modalità di affidamento, individuando i principi comuni, che le amministrazioni applicano qualunque sia la tipologia di affidamento cui intendano ricorrere. Si tratta dei principi relativi alla trasparenza, economicità, efficacia, correttezza, tempestività, libera concorrenza, non discriminazione, applicabilità dei contratti collettivi al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto dei contratti, applicabilità dei principi della legge n. 241 del 1990, il RUP, le fasi delle procedure, i controlli sugli atti di affidamento e i criteri di sostenibilità energetica e ambientale.
Le parti successive, da II a IV, disciplinano le regole procedurali relative a ciascuna tipologia contrattuale (appalto, concessioni, altre tipologie contrattuali quali in house, contraente generale, strumenti di partenariato pubblico-privato, ricomprendendo in quest’ultimo il project financing, strumenti di sussidiarietà orizzontale, il baratto amministrativo, etc.). Si parte dal momento iniziale di tale processo, cioè dalla verifica della soglia comunitaria e dai requisiti di qualificazione della stazione appaltante –se, cioè, posso procedere direttamente all’indizione della gara o devono fare ricorso ad una centrale di committenza o ad un soggetto aggregatore- per poi passare alle modalità di affidamento e alla scelta del contraente, bandi, avvisi, selezione delle offerte, aggiudicazione, fino a giungere alla fase dell’esecuzione, della verifica e collaudo.
La parte V, in attuazione di un espresso principio di delega, contiene il superamento della “legge obiettivo”, che avviene attraverso l’individuazione degli strumenti di pianificazione e programmazione delle infrastrutture e insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese e l’espresso richiamo dell’applicazione delle procedure ordinarie.
La parte VI, sul contenzioso, introduce un nuovo rito abbreviato in camera di consiglio sull’impugnativa dei motivi di esclusione, nonché disciplina i rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale (accordo bonario, esteso anche ai servizi e forniture, transazione e arbitrato). Viene poi regolata la Governance, che comprende le disposizioni finalizzate al rafforzamento dell’ANAC nel sostegno alla legalità, il ruolo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, del Ministero delle infrastrutture e l’istituzione della Cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, quale organo di coordinamento e monitoraggio.
Infine, sono previste le disposizioni transitorie, di coordinamento e le abrogazioni.
Le novità più rilevanti
Il Governo ha dichiarato che il nuovo Codice vuole porre l’attenzione sulla qualità, sia con riferimento alla progettazione, sia relativamente alla metodologia di scelta del contraente, nonché al tema della qualificazione delle stazioni appaltanti e degli operatori economici. Per quanto attiene, in particolare, alle nuove disposizioni volte a favorire la qualità della progettazione, si superano lo studio di fattibilità e il progetto preliminare per passare al progetto di fattibilità, che rafforza la fattibilità tecnica ed economica del progetto. La progettazione deve assicurare il soddisfacimento dei fabbisogni della collettività, la qualità architettonica e tecnico-funzionale dell’opera, un limitato consumo del suolo, il rispetto dei vincoli idrogeologici sismici e forestali e l’efficientamento energetico. Il progetto di fattibilità, di nuova introduzione, sarà, infatti, redatto sulla base dell’avvenuto svolgimento di indagini geologiche e geognostiche, di verifiche preventive dell’assetto archeologico, fermo restando che tra più soluzioni possibili il progetto di fattibilità tecnica ed economica deve individuare quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività. Sempre al fine di promuovere la qualità della progettazione, analogamente a quanto avviene nei principali paesi europei, è stata prevista la progressiva introduzione di strumenti aperti di modellazione elettronica, perché migliori progetti vuole dire meno ricorso alle varianti che -come noto- spesso costituiscono la causa principale del lievitare dei costi delle opere pubbliche e dell’allungamento dei tempi di realizzazione delle opere. Sempre a tal fine, è previsto che a base di gara sia posto il progetto esecutivo, restando da chiarire quali siano gli spazi (comune limitati) concessi all’appalto integrato.
Quanto ai metodi di scelta del contraente, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che in precedenza rappresentava solo una delle alternative possibili a disposizione delle stazioni appaltanti, diviene, nel nuovo codice, il criterio di aggiudicazione preferenziale nonché obbligatorio per i servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica e per quei servizi in cui è fondamentale l’apporto di manodopera (si pensi ad esempio ai servizi di pulizia): si tratta, infatti, di settori in cui prevale l’esigenza di qualità o di tutela dei lavoratori.
E’ prevista una dettagliata disciplina per quanto concerne la qualificazione, sia degli operatori economici, sia delle stazioni appaltanti, che sono obbligate a qualificarsi secondo standard predefiniti e secondo sistemi premianti che consentono, man mano che aumenta il livello di qualificazione, la possibilità di appaltare opere, lavori e servizi di importo più elevato e di maggiore complessità.
Altra novità rilevante è, poi, l’introduzione nel nuovo codice, così come richiesto dal legislatore europeo, di una disciplina dell’istituto della concessione. A tal fine vengono recepiti i principi contenuti nella direttiva 2014/23/UE prevedendo una disciplina unitaria per le concessioni di lavori, servizi e forniture e chiarendo che le concessioni sono contratti di durata, caratterizzati dal rischio operativo posto in capo al soggetto privato, il che implica che non è garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. Si prevede, inoltre, che i soggetti privati, titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici, già in essere alla data di entrata in vigore del codice, non affidate con la formula della finanza di progetto o con procedure di gara ad evidenza pubblica, sono obbligate ad affidare una quota pari all’ottonata per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relative alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro mediante le procedure ad evidenza pubblica. I concessionari di contratti già in essere si adeguano entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della nuova normativa. La verifica di tale limite è effettuata dall’ANAC e dai soggetti preposti, secondo modalità e cadenza indicate dall’ANAC in apposite linee guida.
Non meno rilevanti sono le disposizioni sulla nuova disciplina del sistema delle garanzie. Viene eliminata la vecchia garanzia globale e sostituita da due diverse garanzie che devono essere rilasciate contestualmente: la garanzia definitiva, senza possibilità di svincolo, che permane fino alla conclusione dell’opera e la garanzia extracosti che copre il costo del nuovo affidamento in tutti i casi in cui l’affidatario viene meno e il maggior costo che viene praticato dal subentrante.
Tra le disposizioni volte a favorire la concorrenza, l’introduzione del documento di gara unico europeo, volto ad agevolare un’apertura della concorrenza a livello europeo e l’immediata partecipazione degli operatori economici sulla base delle autodichiarazioni ivi contenute, nonché le disposizioni che prevedono il graduale passaggio a procedure interamente gestite in maniera digitale, con conseguente riduzione degli oneri amministrativi, mediante la dematerializzazione degli atti e il ricorso generalizzato ai mezzi elettronici di comunicazione ed informazione.
Il nuovo codice prevede, inoltre, numerose disposizioni a sostegno della legalità, a partire dal forte rafforzamento e potenziamento del ruolo dell’ANAC nel quadro delle sue funzioni di vigilanza, di promozione e sostegno delle migliori pratiche e di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti. In tale contesto l’ANAC è chiamata ad adottare atti di indirizzo quali linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, così fornendo agli operatori costante supporto nell’interpretazione e nell’applicazione del quadro normativo.
Tra le innovazioni a sostegno della legalità vanno ricordate anche quelle dirette a favorire l’indipendenza delle commissioni giudicatrici, mediante la previsione della scelta dei componenti delle Commissioni da un albo detenuto dall’ANAC, la specifica disciplina per i contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza, per i quali viene potenziata l’attività di controllo da parte della Corte dei conti.
Il nuovo impianto normativo disciplina poi, per la prima volta, l’istituto del c.d. partenariato pubblico privato, quale forma di sinergia tra poteri pubblici e privati per il finanziamento, la realizzazione o la gestione costruire delle infrastrutture o dei servizi pubblici. La cooperazione con i privati fa sì che l’amministrazione possa disporre di maggiori risorse ed acquisire soluzioni innovative. La nuova disciplina prevede che i ricavi di gestione dell’operatore economico possano provenire non solo dal canone riconosciuto dall’ente concedente ma anche da qualsiasi altra forma di contropartita economica, quale, ad esempio, l’introito diretto della gestione del servizio ad utenza esterna. Si chiarisce che il ricorso al PPP è possibile sia per le c.d. “opere a freddo” che per quelle “opere a caldo”, cioè sia per quelle in grado generare reddito attraverso ricavi da utenza in misura tale da ripagare i costi di investimento e remunerare adeguatamente il capitale investito, sia per le altre (per le prime, si pensi ad esempio alle carceri o agli ospedali mentre per le seconde ad un parcheggio o ad una piscina). Nell’ambito del partenariato pubblico–privato, un istituto assolutamente innovativo è quello dei c.d. interventi di sussidiarietà orizzontale, ossia la partecipazione della società civile alla pulizia, alla manutenzione, all’abbellimento di aree verdi, piazze o strade, ovvero alla loro valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere, interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati. All’interno di questi interventi vi è anche la previsione del baratto amministrativo.
Il codice non prevede deroghe alla sua applicazione, ad eccezione dei settori esclusi esplicitamente previsti dalla direttiva e dei casi di somma urgenza, ossia al verificarsi degli eventi di cui all’articolo 2 comma 1 della legge 24 febbraio 1992 n. 225 ovvero nell’imminente previsione del loro verificarsi, nei quali si prevede che il soggetto che si reca per primo sul luogo (il RUP o il tecnico) possa disporre l’immediata esecuzione dei lavori entro il limite dei 200.000 euro o comunque di quanto indispensabile per rimuovere lo stato di pregiudizio alla pubblica incolumità.
In coerenza con l’eliminazione del ricorso a procedure straordinarie, in attuazione di un espresso principio di delega, il codice prevede, inoltre, il superamento della “legge obiettivo”, riconducendo la pianificazione e la programmazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari allo sviluppo del Paese, agli strumenti ordinari quali il Piano generale dei trasporti e della logistica (che contiene le linee strategiche delle politiche delle mobilità delle persone e delle merci nonché dello sviluppo infrastrutturale del Paese, adottato ogni tre anni, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del CIPE, acquisito il parere della Conferenza Unificata e sentite le commissioni parlamentari competenti) e il Documento Pluriennale di Pianificazione di cui al decreto legislativo n. 228 del 2011.
Coerentemente con la soppressione della “legge obiettivo”, anche l’istituto del contraente generale subisce una profonda rivisitazione e diventa un istituto a carattere generale. La stazione appaltante dovrà però adeguatamente motivare le ragioni poste alla base della scelta di far riferimento a questo istituto, in ragione della complessità e di altre esigenze al fine di garantire un elevato livello di qualità, sicurezza ed economicità. Inoltre, in recepimento di un espresso criterio di delega, è stabilito il divieto per il contraente generale di cumulo con l’incarico di direttore dei lavori. Il progetto posto a base di gara, in questo caso, sarà il progetto definitivo e non più il progetto preliminare. È eliminata la previsione della possibilità di ricorrere, nel caso di affidamento a contraente generale, alla procedura ristretta. Cambia anche il sistema di qualificazione che viene attribuito all’ANAC. Viene creato, presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, recependo un espresso criterio di delega, un apposito albo nazionale cui devono essere obbligatoriamente iscritti i soggetti che possono ricoprire gli incarichi di direttore dei lavori e di collaudatore negli appalti pubblici aggiudicati con la formula del contraente generale. La loro nomina nelle procedure di appalto avviene mediante pubblico sorteggio da una lista di candidati indicati alle stazioni appaltanti in numero almeno triplo per ciascun ruolo da ricoprire e prevedendo altresì che le spese di tenuta dell’albo siano poste a carico dei soggetti interessati.
Infine, per garantire l’efficacia e la speditezza delle procedure di aggiudicazione e tempi certi nella esecuzione dei contratti, di assoluto rilievo è l’introduzione di un rito speciale avanti al TAR, in camera di consiglio. In particolare si prevede che i vizi relativi alla composizione della commissione di gara, all’esclusione dalla gara per carenza dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico professionali sono considerati immediatamente lesivi e sono ricorribili innanzi al TAR entro trenta giorni dalla pubblicazione della composizione della commissione o dell’elenco degli esclusi e degli ammessi. Inoltre, l’omessa impugnazione di tali provvedimenti preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata nei successivi atti della procedura di gara anche con ricorso incidentale.
Sono poi previsti rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale quali l’accordo bonario (esteso anche alle contestazioni per appalti di servizi e forniture, che è semplificato rispetto alla disciplina contenuta nel codice vigente in quanto è stato eliminato il ricorso alla Commissione e il procedimento deve concludersi entro 45 giorni dal ricevimento delle proposte), l’arbitrato (per il quale è stato previsto, in adesione ad un espresso criterio di delega, il solo ricorso all’arbitrato amministrato nonché l’istituzione di una Camera arbitrale presso l’Anac, che cura la formazione e la tenuta dell’albo degli arbitri e dei segretari e redige il codice deontologico degli arbitri camerali), la transazione (quale rimedio esperibile solo in caso di impossibilità di ricorrere ad altri rimedi di risoluzione delle controversie). Sono poi inseriti altri rimedi quali il collegio tecnico consultivo (con funzioni di assistenza e non vincolante, al fine di giungere, nella fase dell’esecuzione, ad una rapida definizione delle controversie) e i pareri di precontenzioso dell’ANAC (prevedendo che l’Autorità esprima parere su iniziativa della stazione appaltante o di una delle parti su questioni insorte durante la procedura di gara). Il parere è vincolante e il mancato adeguamento della stazione appaltante determina la sanzione amministrativa pecuniaria da 250 euro a 25000 euro posta a carico del dirigente responsabile.


L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato esclude la regolarizzazione postuma del D.U.R.C.

C. di Stato, Adunanza Plenaria, n. 6 del 29 febbraio 2016.
Nell’ambito di una gara indetta dall’ANAS per l’affidamento dell’appalto di lavori di manutenzione straordinaria di un plesso autostradale, la Stazione appaltante revocava l’aggiudicazione in favore di un’impresa, la cui posizione contributiva era risultata a posteriori irregolare al momento della formulazione dell’offerta, come attestato dal D.U.R.C..
La vicenda contenziosa che ne è scaturita è stata infine sottoposta all’Adunanza Plenaria del C. di Stato, con ordinanza 29 settembre 2015, n. 4542 della IV Sezione, che ha investito il Supremo Consesso della questione se l’obbligo degli Istituti previdenziali di invitare l’interessato alla regolarizzazione del DURC (c.d. preavviso di DURC negativo), previsto dall’art. 7, comma 3 D.M. 24 ottobre 2007 e ribadito dall’art. 31, comma 8, del decreto legge n. 69 del 2013, sussista anche nel caso in cui la richiesta provenga dalla stazione appaltante in sede di verifica della dichiarazione resa dall’impresa ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera i) del d.lgs. n. 163 del 2006. Se, in altri termini, la mancanza dell’invito alla regolarizzazione impedisca di considerare come “definitivamente accertata” la situazione di irregolarità contributiva. La sentenza dell’Adunanza Plenaria ha in primo luogo ricordato i termini del contrasto giurisprudenziale in atto.
Da un lato, secondo la giurisprudenza prevalente, doveva comunque escludersi ogni possibilità di regolarizzazione postuma dell’offerta, anche per quanto concerne il D.U.R.C. e nonostante la previsione di cui all’art. 7 comma 3 D.M. 24 ottobre 2007 (da ultimo confermata dall’art. 31, comma 8, del D.L. n. 69/2013), che disciplina l’invito alla regolarizzazione da parte dell’Ente previdenziale nei confronti dell’Impresa.
D’altro lato, secondo un più recente orientamento, dovrebbe ritenersi invece che l’obbligo degli Istituti previdenziali di invitare l’interessato alla regolarizzazione sussiste anche ove la richiesta sia fatta in sede di verifica dalla stazione appaltante. Ciò in quanto l’art. 31, comma 8, del decreto legge n. 69 del 2013 avrebbe implicitamente ma sostanzialmente modificato, l’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, “con la conseguenza che l’irregolarità contributiva potrebbe considerarsi definitivamente accertata solo alla scadenza del termine di quindici giorni assegnato dall’ente previdenziale per la regolarizzazione della posizione contributiva”.
L’Adunanza Plenaria ha giudicato più corretto il primo dei due orientamenti, operando un’ampia rassegna delle ragioni (di interpretazione letterale e di sistema) che depongono in tale direzione ed escludendo anche che il divieto di regolarizzazione postuma del D.U.R.C. possa presentare profili di contrasto con il diritto comunitario, per il quale al contrario la regolarità contributiva al momento della presentazione dell’offerta costituisce una condizione essenziale di partecipazione alle gare.
Del resto, laddove si ammettesse una siffatta soluzione, si arriverebbe “a consentire all’offerente – che pur a conoscenza di una irregolarità contributiva abbia reso una dichiarazione volta ad attestare falsamente il contrario – di beneficiare di una facoltà di regolarizzazione postuma della sua posizione, andando così a sanare, non una mera irregolarità formale, ma la mancanza di un requisito sostanziale, mancanza aggravata dall’aver reso una dichiarazione oggettivamente falsa in ordine al possesso del requisito. Una simile generalizzata possibilità di sanatoria – della dichiarazione falsa e della mancanza del requisito sostanziale – darebbe vita ad una palese violazione del principio della parità di trattamento e dell’autoresponsabilità dei concorrenti, in forza del quale ciascuno di essi sopporta le conseguenze di errori, omissione e, a fortiori, delle falsità, commesse nella formulazione dell’offerta e nella presentazione delle dichiarazioni (cfr. ancora Ad. Plen. 25 febbraio 2014, n. 9)”.
La sentenza ha infine affermato il seguente principio di diritto: “Anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l’impresa deve essere in regola con l’assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando dunque irrilevante, un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva. L’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), già previsto dall’art. 7, comma 3, del decreto ministeriale 24 ottobre 2007 e ora recepito a livello legislativo dall’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69 può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera i) ai fini della partecipazione alla gara d’appalto”.

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La dichiarazione circa pregressi errori professionali.

Consiglio di Stato, Sez.III, 26 febbraio 2016 n.802.
Come è noto, ai sensi dell’art.38 d.lvo 163/06 “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti… f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza ora in commento, ha ribadito l’ormai prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui la norma impone ai concorrenti di dichiarare, in sede di gara, la sussistenza di pregresse risoluzioni contrattuali anche a prescindere dal fatto che tali risoluzioni siano state pronunciate dalla stessa stazione appaltante presso la quale si svolge il procedimento di scelta del contraente, ovvero da altre stazioni appaltanti (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2014 n. 2289; Sez. III, 7 giugno 2013 n. 3123; Cons. Stato Sez. V, Sent., 11/12/2014, n. 6105).
Infatti “la funzione della disposizione in esame è quella di garantire la possibilità per l'Amministrazione di scegliere l'aggiudicataria tra le ditte concorrenti che forniscono le maggiori garanzie di affidabilità e correttezza. È allora ragionevole che il legislatore imponga -a pena di esclusione e con divieto di stipulazione del contratto d'appalto- quantomeno di dichiarare alla stazione appaltante l'avvenuta risoluzione per grave inadempienza di precedenti rapporti contrattuali con altri enti pubblici, così da consentirle di svolgere le opportune verifiche” (cfr. Cons. Stato Sez. III 5/5/2014 n. 2289; cfr., inoltre, Cons. St., Sez. V, n. 5763/2014; Sez. V, 21.11.2014, n. 5763).
La norma quindi prevede l’obbligo di dichiarazione -in sede di presentazione della domanda di partecipazione alla gara- della pregressa risoluzione contrattuale, anche se adottata da un’altra stazione appaltante, al fine di consentire alla nuova stazione appaltante di svolgere le necessarie verifiche sull’affidabilità della concorrente. Nel caso di specie la ditta appellante aveva partecipato alla procedura negoziata indetta dall’Azienda Sanitaria Locale del Verbano Cusio Ossola — ASL VCO — per l'affidamento del servizio di assistenza e supporto nei confronti degli assistiti ricoverati presso l'Hospice di San Rocco in Verbania, riservata alle cooperative sociali, con durata annuale dal 1.12.2014 al 30.11.2015, risultando aggiudicataria. In sede di gara essa aveva dichiarato, tra l'altro, "di non trovarsi in alcuna delle situazioni per le quali è prevista l'esclusione dalla partecipazione ad appalti dall'art. 38 del D.Lgs. 163/2006 (...)".
Successivamente, però, nel corso dell’esecuzione del contratto, la stazione appaltante era venuta a conoscenza di un provvedimento di risoluzione contrattuale per gravi inadempienze, adottato nei confronti della cooperativa Solaris nel dicembre 2013 da parte del Comune di Arcore: l’Azienda Sanitaria, dunque, ha chiesto chiarimenti all’aggiudicataria che, con nota del 24 febbraio 2015, ha dichiarato l’insussistenza di qualsiasi errore professionale nello svolgimento dell’attività sociale, confermando l’intervenuta risoluzione contrattuale da parte del Comune di Arcore disposta con determinazione n. 204 del 18 dicembre 2013 con riferimento all’appalto di gestione del Centro Diurno Integrato L'Arca. La cooperativa sociale Solaris ha precisato, nella stessa nota, che detta determinazione, essendo del tutto disancorata dalla realtà, era stata impugnata presso il T.A.R. Lombardia e presso il Tribunale di Monza, e che i relativi giudizi erano ancora pendenti.
Ciò nonostante l’Azienda Sanitaria –con provvedimento n. 358 del 19 marzo 2015- ha disposto la risoluzione contrattuale a decorrere dal 1° maggio 2015, rilevando che “la risoluzione è stata disposta in relazione alla mancata segnalazione da parte di codesta spett. ditta, nell’ambito della procedura che aveva condotto all’aggiudicazione e così come richiesto dall’art. 38, comma 1 lett. f) D.Lgs. 163/06, di precedente e recente risoluzione contrattuale per inadempimento da parte di altro ente pubblico (Comune di Arcore), pregiudicando la scrivente ASL di importantissimo elemento di valutazione circa il possesso dei requisiti di ammissibilità alla partecipazione alla gara”.
Di qui, dunque, il ricorso della Coop Solaris, respinto dal TAR Piemonte con la sentenza ora confermata dal Consiglio di Stato.
Quest’ultimo, infatti, ha riscontrato che Solaris, pur essendo pienamente consapevole dell'intervenuta risoluzione di un precedente contratto stipulato con il Comune di Arcore per gravi inadempienze nell'esecuzione, aveva omesso di dichiararlo, giungendo ad attestare l'assoluta assenza di errori professionali commessi nell'espletamento di altri servizi. Detta condotta, ha proseguito il Giudice d’appello, a prescindere dagli effetti connessi alla falsità della dichiarazione, rileva come sintomo di inaffidabilità dell’impresa, che ha tenuto nascosto alla stazione appaltante un elemento essenziale che avrebbe dovuto essere sottoposto alla sua valutazione, avendola privata “di un importantissimo elemento di valutazione circa il possesso dei requisiti di ammissibilità alla partecipazione alla gara”, come dichiarato dalla stazione appaltante nel provvedimento impugnato.
Infine, la sentenza ha chiarito che la violazione dell’obbligo di dichiarazione discendente dalla legge non avrebbe potuto essere emendata con il soccorso istruttorio, ma conduce per diretta applicazione dell’art. 46 comma 1 bis del D.Lgs. n. 163/06 all’esclusione dalla gara e dunque alla risoluzione del rapporto contrattuale per annullamento in autotutela dell’aggiudicazione, come avvenuto nel caso di specie.

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Il T.A.R. Lombardia fornisce talune importanti indicazioni a proposito della ratio del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

Sentenza T.A.R. Lombardia, Sez. IV, 15 febbraio 2016 n. 325.
Nell'ambito di una controversia relativa all'affidamento di un appalto pubblico di fornitura di presidi sanitari, il T.A.R. Lombardia ha censurato l'intera impostazione della gara, in quanto non coerente con la ratio del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
L'oggetto dell'affidamento controverso era costituito principalmente dai prodotti base, che rappresentavano la parte preponderante della fornitura (con un'incidenza pari al 90% dell'importo posto a base d'asta). D'altro lato, era prevista anche la fornitura residuale di prodotti accessori.
Il criterio di aggiudicazione prevedeva l'assegnazione di un massimo di 40 punti in relazione ai profili qualitativi della fornitura e di un massimo di 60 punti con riguardo all'offerta economica, a loro volta suddivisi in 30 punti, assegnabili in relazione al ribasso offerto per i prodotti base, ed altri 30 punti, assegnabili con riferimento al ribasso per i prodotti accessori.
Il T.A.R. ha ritenuto illogica e contraria all'art. 83 del D.Lgs. 163/2006 tale ripartizione del punteggio economico, in quanto non proporzionata all'effettiva incidenza dei prodotti (base e accessori) rispetto alla base d'asta e, pertanto, idonea a provocare un'alterazione del confronto competitivo e della par condicio (nel caso esaminato dal T.A.R. l'esito finale ha visto paradossalmente prevalere l'offerta economicamente meno conveniente in assoluto, ancorché più contenuta limitatamente alle forniture accessorie).
La difesa dell'Amministrazione, secondo cui l'assegnazione di un così elevato punteggio economico per la parte residuale della fornitura si sarebbe giustificata al fine di tutelare la qualità delle prestazioni ad essa sottintese è stata considerata priva di pregio dal T.A.R.. Il quale ha sottolineato come, ai sensi dell'art. 83, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 163/06, i profili qualitativi dei prodotti, nell'ambito del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, debbano essere premiati attraverso l'utilizzo dei criteri di tipo tecnico e non in relazione al loro prezzo, come invece verificatosi nella specie.

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La sanzione di cui agli art. 38, comma 2 bis, e 46, comma 1 ter, del d.lgs. n. 163 del 2006: ulteriori precisazioni.

T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, sentenza n. 66 del 29 febbraio 2016.
L’argomento è già stato trattato in precedenti newsletter, in seguito ai chiarimenti che l’ANAC aveva fornito a proposito del nuovo comma 2bis dell’art. 38 D.Lgs. 163/2006, introdotto dall’art. 39 D.L. 90/14 e successivamente ad ulteriori pronunce della giurisprudenza di primo grado.
Riepilogando, è ormai noto che l’art. 38 c. 2bis, del Codice dei contratti prevede che le dichiarazioni incomplete o irregolari possano essere “sanate”, mediante il versamento di un importo a titolo sanzionatorio (variamente modulato, ma comunque non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro).
Con determinazione n. 1/15 l’A.N.A.C. aveva affermato che il pagamento della sanzione sarebbe dovuto solo nel caso in cui il concorrente, che abbia presentato un’offerta irregolare, intenda avvalersi della procedura di sanatoria.
Avevamo per contro manifestato una qualche perplessità in relazione a tale presa di posizione, dato che il novellato art. 38, c. 2bis, sembra far scaturire l’obbligo di versamento della sanzione dalla semplice presentazione di un’offerta priva di elementi essenziali, indipendentemente dalle vicende successive (che rientrano nella disponibilità del concorrente).
Il T.A.R. Abruzzo nella sentenza 25 novembre 2015 n.784 (commentata nella precedente newsletter) aveva confermato che tali perplessità non erano peregrine, ritenendo che la sanzione di cui agli artt. 38, comma 2 bis, e 46, comma 1 ter, del d.lgs. n. 163 del 2006 possa essere applicata non solo quando il concorrente che sia incorso in un'irregolarità essenziale decida di avvalersi del soccorso istruttorio, integrando o regolarizzando la dichiarazione resa, ma anche nell'ipotesi in cui questi, non avvalendosi del soccorso istruttorio, venga escluso dalla procedura di gara.
Da ultimo in argomento è intervenuta anche la sentenza qui segnalata, con cui il T.A.R. Parma ha confermato l’orientamento del T.A.R. Abruzzo, espressamente richiamandolo e utilizzandolo anche al fine di superare il proprio precedente cautelare, emesso nell’ambito della medesima controversia, che aveva invece fatta propria l’interpretazione dell’ANAC.
Il TAR Parma ha in primo luogo ricordato come l’attuale formulazione delle richiamate norme sia stata introdotta dalla L. n. 114/14, che è intervenuta in materia di “soccorso istruttorio” prevedendo una “procedimentalizzazione dell’istituto tesa a prevenire esclusioni determinate da mere omissioni documentali sanabili in corso di gara senza eccessivi aggravi, contemperando in tal modo i principi di massima partecipazione e di par condicio che, in ragione dell’altalenante prevalere dell’uno sull’altro, avevano determinato una posizione ondivaga della giurisprudenza”.
Tuttavia ha altresì chiarito che il presupposto al verificarsi del quale si legittima la misura sanzionatoria in questione non è rappresentato dall’effettivo “sfruttamento della riconosciuta possibilità di rimanere in gara nonostante l’irregolarità commessa”.
Infatti, la norma, sembra “ricollegare l’effetto sanzionatorio alla sola incompletezza documentale senza subordinarlo a successive valutazioni della concorrente in ordine alla persistenza di un proprio eventuale interesse a permanere in gara.
Diversamente opinando ne risulterebbe svilita la funzione della norma che, come correttamente eccepito dalla resistente, persegue, altresì, l’obiettivo di indurre i concorrenti alla presentazione di offerte serie e ponderate evitando inutili aggravi procedimentali
”.
Si va, dunque, consolidando l’orientamento meno favorevole per gli operatori, che in caso di presentazione di un’offerta irregolare (e sanabile) difficilmente potranno sottrarsi all’applicazione della sanzione pecuniaria, indipendentemente dalla loro prosecuzione della gara.

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La verifica dei requisiti per le PMI (piccole medie imprese): i confini dell’esenzione prevista dall’art.13 comma 4 delal legge 180 del 2011.

TAR Lombardia, Milano, Sez.IV, 12 novembre 2015 n.2389.
L’art. 13, comma 4, della legge 2011, n. 180, nell’ottica di agevolare e semplificare la partecipazione delle PMI alle gare pubbliche, ha previsto che “La pubblica amministrazione e le autorità competenti, nel caso di micro, piccole e medie imprese, chiedono solo all'impresa aggiudicataria la documentazione probatoria dei requisiti di idoneità previsti dal codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Nel caso in cui l'impresa non sia in grado di comprovare il possesso dei requisiti si applicano le sanzioni previste dalla legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché la sospensione dalla partecipazione alle procedure di affidamento per un periodo di un anno”.
Tale norma, tuttavia, non chiarisce se l’esenzione dal controllo per le PMI riguardi soltanto la fase finale della gara (controllo dei requisiti sull’aggiudicataria e sull’impresa che segue in graduatoria, ai sensi dell’art.48 co.2 d.lvo 163/06), ovvero sia anche quella dell’art.48 comma 1 d.lvo 163/06 (controllo preventivo per le imprese sorteggiate).
Il TAR Lombardia, con la sentenza ora in commento, ha confermato l’orientamento già in precedenza espresso dall’ANAC (cfr. det. n. 1 del 15 gennaio 2014, recante “Linee guida per l’applicazione dell’art. 48 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163”) limitando la portata dell’esenzione all’art.48 co.2 cit. e, dunque, al controllo tipico della fase finale della gara. Nessun trattamento di favore, viceversa, sarebbe riservato alle PMI che fossero estratte in fase di gara per la verifica dei requisiti.
Si legge in sentenza che il dato letterale dell’art. 13, comma 4, della legge 2011, n. 180, è inequivoco nel senso di prevedere una limitazione dei controlli ex art. 48 solo quando sia individuata l’impresa aggiudicataria e tale limitazione è configurabile solo in relazione ai controlli successivi, ossia quelli previsti dal secondo comma del medesimo art. 48.
In mancanza di una diversa previsione normativa, non vi sono ragioni per sottrarre le micro, piccole e medie imprese ai controlli a campione, previsti dal comma 1 dell’art. 48, che riguardano i concorrenti di volta in volta sorteggiati e non l’aggiudicatario e il secondo classificato. Del resto, se è ipotizzabile che a gara conclusa non si voglia gravare il secondo classificato di oneri dimostrativi, a tutela delle peculiarità anche organizzative delle imprese di minori dimensioni, nondimeno tale finalità cede, in modo del tutto ragionevole, all’esigenza di garantire, mediante controlli a campione, che le procedure ad evidenza pubblica non siano appesantite, con incremento degli oneri economici e amministrativi, dalla partecipazione di imprese prive dei requisiti prescritti.

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Per il Consiglio di Stato anche le imprese che hanno presentato domanda di concordato preventivo con riserva possono partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 426 del 3 febbraio 2016.
Nell’ambito di una controversia avente ad oggetto l’affidamento del servizio di conduzione e manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili della Banca d’Italia, il Consiglio di Stato confermando la sentenza di primo grado ha tra l’altro affermato il principio qui segnalato.
L’Impresa aggiudicataria del servizio, vincitrice in primo grado, innanzi al Consiglio di Stato ha eccepito che l’appello proposto dalla ditta soccombente avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile.
Ciò in quanto nelle more del giudizio quest’ultima aveva presentato istanza al Tribunale di Roma richiedendo l’ammissione al concordato preventivo con riserva, ai sensi dell’articolo 161, comma 6, della legge fallimentare (approvata con R.D. 16 marzo 1942, n. 267).
Secondo la tesi dell’aggiudicataria, tale istanza, proprio in quanto riservata, non sarebbe stata idonea a garantire un concordato preventivo con caratteristiche di continuità aziendale secondo quanto previsto dall’articolo 186 bis della legge fallimentare, con la conseguenza che la Ditta appellante avrebbe dovuto essere considerata priva del requisito di cui all’articolo 38, comma 1, lettera a), del Codice dei contratti pubblici, ai sensi del quale non possono partecipare a gare pubbliche i soggetti che “si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’art. 186 bis del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”.
Tuttavia, il Consiglio di Stato ha respinto detta eccezione, rilevando in primo luogo che la questione è stata affrontata dalla giurisprudenza che ha rilevato come la richiamata norma del Codice dei contratti pubblici consenta la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici non solo alle imprese che hanno già ottenuto il decreto di ammissione al concordato con continuità aziendale, “ma anche a quelle che abbiano presentato domanda di ammissione al concordato preventivo” (Cons. Stato, IV, 3 luglio 2014, n. 3344).
Né ad avviso del Consiglio di Stato in senso contrario può deporre la circostanza che la domanda di concordato preventivo sia stata presentata “in bianco” o “con riserva”, purché l’istanza sia volta ad attivare una procedura con caratteristiche di continuità aziendale ai sensi del richiamato articolo 186 bis della legge fallimentare.
Infatti, “il deposito della domanda di concordato preventivo con riserva (c.d. “concordato in bianco”) non comporta il venir meno dei requisiti prescritti dall’articolo 38 del Codice dei contratti pubblici (Cons. Stato, V, 22 dicembre 2014, n. 6303; 27 dicembre 2013, n. 6272; IV, n. 3344 del 2013 cit.)”.
La sentenza è da apprezzare in quanto coglie appieno lo spirito e la finalità della recente riforma in materia fallimentare (decreto-legge 83/2012, conv. in legge n.134/2012), che “nell’interesse del mercato e degli stessi creditori - è volta a “guidare l’impresa oltre la crisi”, anche preservando “la capacita dell’impresa a soddisfare al meglio i creditori attraverso l’acquisizione di nuovi appalti” (Cons. St., V, n. 6272 del 2013 cit.)”.

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E’ possibile, a certe condizioni, regolarizzare l’offerta anche qualora sia mancata la dichiarazione di alcune condanne penali.

T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, n. 798 del 15 febbraio 2016.
Nell’ambito di una gara espletata per l’affidamento dell’appalto dei lavori di manutenzione straordinaria per la messa in sicurezza delle strade di Roma Capitale l’Impresa aggiudicataria veniva esclusa, perché in sede di verifica dei requisiti di cui all’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 era risultata una sentenza di condanna per il reato di occupazione abusiva a carico del socio accomandatario, non dichiarata in sede di offerta.
La società proponeva ricorso al TAR Lazio, sostenendo che non si sarebbe trattato di una dichiarazione falsa, ma al più di un’omessa dichiarazione, con conseguente obbligo per la Stazione appaltante di attivare il procedimento volto alla regolarizzazione e integrazione delle dichiarazioni necessarie in applicazione delle indicazioni recate dalla Determinazione ANAC n. 1 del 2015 e in conformità con la Direttiva 2004/18/CE.
Il TAR ha accolto il ricorso, dapprima escludendo che nella specie potesse trattarsi di falsa dichiarazione, dal momento che la condanna pronunciata a carico del socio accomandatario per il reato di occupazione abusiva non poteva “farsi ricadere tra i reati indicati nella citata lettera c), riferiti espressamente ai “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale ovvero condanna con sentenza passata in giudicato per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18”.
Infatti, la condanna per il reato contravvenzionale di occupazione abusiva di spazio demaniale, peraltro di modesta entità, non avrebbe potuto essere qualificata come grave, così venendo meno il profilo del mendacio dichiarativo.
Qualificata la condotta di parte ricorrente quale omessa dichiarazione, secondo il TAR “trovano quindi applicazione le conseguenze e gli effetti – diversi da quelli dell’esclusione dalla gara e di decadenza dall’aggiudicazione, disposti con la gravata determinazione in ragione della omessa dichiarazione – stabiliti dall’art. 38, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 163 del 2006, ai sensi del quale “La mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione.”
Tale comma, inserito dal decreto legge 24 giugno 2014 n. 90 - da coordinarsi con il principio di tassatività delle cause di esclusione e da leggersi unitamente all’art. 46 del medesimo D.Lgs. n. 163 del 2006, comma 1-ter, anch’esso introdotto da detto decreto legge, il quale dispone che “Le disposizioni di cui all'articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara” – consacra, elevandolo a regola generale, il c.d soccorso istruttorio – in un’ottica sostanzialistica della previsione dei requisiti di partecipazione di ordine generale - quale obbligatorio modulo procedimentale per ogni ipotesi di omissione o di irregolarità degli elementi essenziali e delle dichiarazioni rese in sede di gara, configurando l’esclusione dalla gara come sanzione legittimata unicamente dall’omessa produzione, integrazione, regolarizzazione degli elementi e delle dichiarazioni carenti entro il termine assegnato dalla stazione appaltante, e non da carenze originarie delle dichiarazioni”.
Secondo il TAR: “Tali principi trovano applicazione anche con riferimento alla omessa indicazione delle sentenze di condanna, non essendovi alcuna ragione per escludere le ipotesi di omessa dichiarazione – e non di falsa dichiarazione - della sussistenza di sentenze di condanna dall’ambito di operatività del soccorso istruttorio, come procedimentalizzato dal comma 2-bis dell’art. 38 citato, sussistendo anche in tali ipotesi la medesima ratio di evitare l’esclusione dalla gara per fatti e circostanze di carattere formale che attengono alle dichiarazioni rese”.
Si tratta di precedente interessante, perché opera un’attenta disamina dei profili che consentono di distinguere l’ipotesi (più grave ed insanabile) della falsa dichiarazione da quella (più lieve e regolarizzabile) dell’omessa dichiarazione.

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Sui presupposti perché il collegamento fra concorrenti possa comportare l’esclusione dalla gara.

TAR Lombardia, Milano, Sez.I, sentenze 29 febbraio 2016 n.403 e n.404.
Il TAR Lombardia, con la sentenza che si segnala, ha ribadito la propria interpretazione sostanzialista del divieto di collegamento sancito dall’art.38 co.1 lett.m-quater) d.lvo 163/06.
E’ stato infatti accolto il ricorso proposto contro il provvedimento di esclusione emesso dalla stazione appaltante sul presupposto del collegamento sostanziale tra le imprese Bruno e Co.Ese, mandanti di due raggruppamenti concorrenti nella procedura pubblica.
Il TAR ha aderito alla tesi, già espressa in precedenti arresti dalla medesima Sezione (cfr., tra le altre, sent. n. 1231/2015), secondo cui la riformulazione, ad opera del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, degli articoli 34 e 38, comma 2 del codice dei contratti pubblici, nonché l’inserimento, nell’ambito del comma 1 dell’articolo 38, di una nuova lettera m-quater, ha comportato il superamento del pregresso sostanziale automatismo in base al quale l’accertamento degli indici di controllo o di collegamento deponeva altresì in modo pressoché automatico nel senso della sussistenza di un “concordamento delle offerte e della loro riferibilità a un unico centro decisionale” (si veda, in termini, Cons. di Stato, sent. n. 462/2015).
In pratica, la prova circa la sussistenza di una relazione di collegamento e la prova circa la riferibilità delle offerte a un unico centro decisionale non possono più confondersi e coincidere, come avallato dalla giurisprudenza formatasi precedentemente alla modifica normativa sopra citata, né è più possibile automaticamente escludere dalla gara d’appalto le imprese tra loro collegate, senza lasciare alle stesse la possibilità di dimostrare che il rapporto di collegamento, pur esistente, non abbia influito sul rispettivo comportamento nell’ambito di tale gara (cfr., sul punto, anche Corte di giustizia, sent. 19 maggio 2009 in causa C-538/07).
E il fatto che il legislatore, conformandosi agli orientamenti comunitari in materia, abbia individuato il punto centrale della questione nel dato concreto del concordamento del contenuto delle offerte (e non anche nell’astratta possibilità di un tale concordamento), ha proseguito il TAR, è confermato dall’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 38, cit., secondo cui nelle ipotesi di cui al comma 1, lettera m-quater “la verifica e l’eventuale esclusione sono disposte dopo l’apertura delle buste contenenti l’offerta economica”.
Nel caso di specie il TAR Lombardia ha ritenuto che gli elementi in fatto addotti dalla stazione appaltante a sostegno del proprio provvedimento di esclusione confermassero soltanto la sussistenza di forme fattuali di collegamento fra le due entità, senza però fornire elementi idonei a ritenere anche che il contenuto intrinseco delle offerte costituisse il frutto di un’illecita intesa tra le rispettive condotte.

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Sulla cauzione provvisoria, nel caso di integrazione documentale e correlata sanzione.

Consiglio di Stato, Sez.V, ordinanza 14 gennaio 2016 n.56.
Con l’ordinanza in commento il Consiglio di Stato ha confermato il provvedimento di primo grado del TAR Puglia e fornito un interessante chiarimento in tema di cauzione provvisoria.
Come è noto, in forza delle disposizioni di cui all'art. 38, comma 2-bis e dell'art. 46, comma 1-ter del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163, la cauzione provvisoria garantisce anche l’eventuale sanzione correlata alla omissione o alle irregolarità nelle dichiarazioni o negli elementi resi sui requisiti di partecipazione.
Nella specie la ditta ricorrente contestava all’aggiudicatario di non aver tenuto conto, nella polizza stipulata, della maggiorazione di importo che sarebbe derivata dall’eventuale necessità di corrispondere la suddetta sanzione alla Stazione appaltante.
Ma il TAR prima, ed il Consiglio di Stato poi, hanno respinto tale contestazione, chiarendo che il disposto normativo non determina un aumento dell’importo della polizza ma, caso mai, l'obbligo di reintegrarla ove ciò si renda necessario in caso di escussione parziale per il pagamento della sanzione (cfr. determinazione n. 1/2015 ANAC). Si legge in particolare nell’ordinanza del TAR che l’aggiudicataria aveva presentato una cauzione provvisoria corrispondente alla misura di € 11.574,00 (in quanto in possesso di certificazione di qualità) così come previsto dall'art. 17.2 del disciplinare di gara, precisando altresì che la stessa veniva prestata anche a garanzia del pagamento della sanzione de qua, in conformità alle richieste della lex specialis (cfr. art. 20.1 del predetto disciplinare), sicché la stessa risultava idonea a garantire il pagamento della sanzione fissata nella misura di €. 1.500,00, ove eventualmente irrogata dalla stazione appaltante per carenze documentali.

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Varianti in corso d’opera: il nuovo comunicato del Presidente Cantone.

Comunicato del Presidente ANAC del 17 febbraio 2016 .
E’ stato pubblicato sul sito dell’Autorità Nazionale Anticorruzione il Comunicato del Presidente del 17 febbraio 2016 che fornisce indicazioni sull’applicazione delle norme sugli obblighi di trasmissione all’Anac delle varianti in corso d’opera (art. 37, d.l. 24 giugno 2014, n. 90 convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114).
In ragione delle sollecitazioni pervenute da soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici ed emerse in sede di ottemperanza all’obbligo di trasmissione all’ANAC delle varianti in corso d’opera, il Presidente, ad integrazione del Comunicato del 17.3.2015, ha fornito le indicazioni interpretative di seguito illustrate.
Si richiama all’attenzione del lettore, in particolare, il paragrafo n.6 (Il criterio di valutazione delle varianti anche rispetto al valore assoluto delle variazioni alle lavorazioni) che in via intepretativa -e nel silenzio della norma- estende ulteriormente l’ambito delle varianti soggette all’obbligo di trasmissione all’ANAC.
1- Obbligo di trasmissione delle varianti nel settore delle infrastrutture strategiche e agli impianti produttivi (l. 21 dicembre 2001, n. 443)
Con il Comunicato del Presidente del 17.3.2015, sulla base di quanto già espresso con il Comunicato del 7.11.2014, è stato indicato che l’obbligo di trasmissione sussiste in ogni caso per le varianti indicate all’art. 176, comma 5, lett. a), d.lgs. 163/2006 che sono a carico del soggetto aggiudicatore e che sono indotte da «forza maggiore, sorpresa geologica o sopravvenute prescrizioni di legge o di enti terzi o comunque richieste dal soggetto aggiudicatore».
Ad ulteriore specificazione di quanto indicato con i precedenti Comunicati, con riferimento al settore delle infrastrutture strategiche e degli impianti produttivi, si fa presente che nelle «sopravvenute prescrizioni (..) di enti terzi» devono ritenersi incluse anche le varianti determinate da prescrizioni del CIPE e approvate ai sensi dell’art.169, d.lgs. 163/2006 con conseguente obbligo di trasmissione all’ANAC ex art. 37, d.l. 90/2014.
Quanto sopra anche alla luce del criterio dettato in tema di varianti in corso d’opera alla lettera ee) dell’art. 1 del disegno di legge delega per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, approvato dal Senato in data 14 gennaio 2016, che prevede uno specifico regime sanzionatorio per la mancata o tardiva comunicazione all’ANAC delle variazioni in corso d’opera per gli appalti di importo pari o superiore alla soglia comunitaria senza distinzioni rispetto alle varianti nel settore delle infrastrutture strategiche e impianti produttivi.
2- Obbligo di trasmissione delle varianti rispetto ai contratti di concessione, incluse le concessioni autostradali.
Per quanto concerne il settore delle concessioni di cui all’art.143 e all’art.153 del d.lgs. 163/2006, inclusi i concessionari autostradali, non sussistendo deroghe di sorta, l’obbligo di trasmissione ex art. 37, d.l. 90/2014 (conv. con l. legge 114/2014) ricorre tout court. L’obbligo di trasmissione deve essere ottemperato entro trenta giorni dall’approvazione della variante in corso d’opera da parte dell’ente concedente.
3- Obbligo di trasmissione delle varianti nei contratti segretati.
L’art. 8, l. 69/2015 ha introdotto la lettera f-bis) all’art.2, comma 2, l. 190/2012 stabilendo che l’ANAC «esercita la vigilanza e il controllo sui contratti di cui agli articoli 17 e seguenti del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163».
Ne consegue che sussiste l’obbligo della trasmissione delle varianti in corso d’opera anche per i contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza.
Al fine di garantire la segretezza e la sicurezza delle informazioni, la trasmissione della documentazione di cui al Comunicato del Presidente del 17.3.2015 sarà effettuata con la trasmissione del “modulo” aggiornato e di tutti gli allegati tecnico-amministrativi del progetto e della variante, essendo rimesse all’Ufficio istruttore le richieste specifiche riguardanti la produzione della documentazione grafica del progetto originario e della variante.
4- Il criterio del cumulo con le varianti adottate prima dell’entrata in vigore del d.l. 90/2014.
In ordine alla questione attinente al cumulo delle varianti in corso d’opera tenendo conto anche del periodo antecedente l’entrata in vigore del d.l. 90/2014, la previsione normativa secondo cui la comunicazione all’ANAC deve riguardare le varianti «di importo eccedente il 10 per cento dell’importo originario del contratto» deve essere interpretata nel senso che devono essere considerate anche le varianti adottate prima dell’entrata in vigore del d.l. 90/2014 ai fini dell’incidenza sulla soglia di rilevanza.
La cumulabilità consentirà di ottenere una rappresentazione corretta degli interventi in variante e dei maggiori costi sostenuti nella loro effettiva quantificazione nella fase esecutiva del contratto.
5- Il criterio di valutazione delle varianti anche rispetto al valore assoluto delle variazioni alle lavorazioni.
La generica formulazione dell’art. 37, d.l. 90/2014 in ordine all’individuazione della soglia di rilevanza del 10% rende necessario chiarire se occorra tenere conto del “valore assoluto” o del “valore relativo” delle variazioni apportate al computo metrico e alla stima dei lavori (categorie omogenee, categorie scorporate o semplicemente lavorazioni). Se l’art. 37, d.l. 90/2014 richiama l’importo della variante rispetto al contratto originario, l’art.132, comma 3, d.lgs. 163/2006, per finalità diverse, fa riferimento a valori percentuali delle categorie di lavoro dell’appalto (entro 10% o 5% le variazioni non sono considerate varianti ex art.132, codice; si chiamano, infatti, informalmente: “varianti non varianti”).
A titolo esemplificativo, nel caso si avesse una diminuzione del 4 % di alcune lavorazioni e allo stesso tempo un aumento del 9 % di altre, si avrebbe un aumento netto del contratto pari al 5%, dunque inferiore alla soglia rivelatrice, anche se le lavorazioni variate nel loro complesso raggiungerebbero il 13%. Così nel caso si avesse una diminuzione del 40 % e un aumento del 49 %, si verificherebbe un aumento netto pari al 9 %, ma nel complesso si registrerebbero variazioni interne del progetto pari all’89 %. Trattasi di circostanze che possono dar luogo a variazioni sostanziali del progetto che potrebbero non essere comunicate all’ANAC.
Qualora si limitasse la trasmissione all’ANAC delle varianti che rispondano solo a un criterio legato alla somma in termini di importo economico per quanto concerne gli aumenti e le diminuzioni, potrebbe favorirsi la tendenza ad approvare varianti di natura sostanziale che non verrebbero comunicate all’ANAC, laddove è interesse generale acquisire anche la trasmissione di varianti che determinano un aumento delle lavorazioni superiore alla soglia di rilevanza del 10%.
In conclusione, nel silenzio della norma, si esprime l’avviso che la trasmissione all’ANAC debba farsi anche quando la somma degli incrementi netti delle lavorazioni delle varianti in corso superi il 10% dell’oggetto del contratto originario, con la conseguente integrazione del punto 3 del Comunicato del 17.3.2015 (dopo il terzo alinea) con la seguente indicazione: «in alternativa alla condizione che precede, le lavorazioni in aumento siano al netto complessivamente superiori al 10% del contratto originario».
Al fine dell’acquisizione delle informazioni necessarie alla raccolta dei dati a cura del responsabile dell’istruttoria, si allega il modulo di trasmissione, già pubblicato con il Comunicato del Presidente dell’ANAC del 17.3.2015 e con le modifiche resesi necessarie in ragione delle nuove indicazioni interpretative approvate nonché per acquisire notizie circa il servizio di verifica della progettazione.
Si richiama l’attenzione degli utenti affinché, nel rispetto delle condizioni di cui al punto 3 del Comunicato del 17.03.2015 come integrato con il presente Comunicato, siano trasmesse le sole varianti relative agli appalti sopra la soglia comunitaria.

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