News - Gennaio

Approvato il Disegno di legge delega di recepimento delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE.

Nella seduta del 14 gennaio scorso il Senato ha definitivamente approvato il testo del disegno di legge che definisce i criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi per il recepimento delle direttive in materia di appalti.
In base ad esso il Governo è delegato ad adottare, entro il 18 aprile 2016, un decreto legislativo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, rispettivamente sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei c.d. settori speciali (acqua, energia, trasporti e servizi postali) (c.d. «decreto di recepimento delle direttive»), nonché, entro il 31 luglio 2016, un decreto legislativo per il riordino complessivo della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (c.d. «decreto di riordino»).
Il D.D.L., peraltro, attribuisce al Governo la facoltà di procedere entro il 18 aprile 2016 all’adozione di un unico decreto legislativo per le materie di cui sopra.
Le novità sono molte e, ad una prima lettura, si segnalano in particolare i seguenti principi e criteri direttivi stabiliti dal D.D.L.:
- il divieto di introduzione e di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive;
- emanazione di un decreto di riordino che sostituisca il Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 163/2006, “garantendo in ogni caso l’effettivo coordinamento e l’ordinata transizione tra la previgente e la nuova disciplina, anche in riferimento, tra l’altro, al coordinamento con le disposizioni in materia di protezione e tutela ambientale e paesaggistica, di valutazione degli impatti ambientali, di tutela e valorizzazione dei beni culturali e di trasparenza a anticorruzione, al fine di evitare incertezze interpretative ed applicative, nel rispetto dei principi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”;
- ricognizione e riordino del quadro normativo vigente, al fine di conseguire una drastica riduzione e razionalizzazione del complesso delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative vigenti e un più elevato livello di certezza del diritto e di semplificazione dei procedimenti, tenendo in debita considerazione gli aspetti peculiari dei contratti pubblici, e salvaguardando una specifica normativa per il settore dei servizi sostitutivi di mensa;
- semplificazione, armonizzazione e progressiva digitalizzazione delle procedure in materia di affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, anche al fine di facilitare l’accesso delle micro, piccole e medie imprese mediante una maggiore diffusione di informazioni e un’adeguata tempistica;
- previsione di misure volte a garantire il rispetto dei criteri di sostenibilità energetica e ambientale nell’affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, facendo ricorso anche al criterio di aggiudicazione basato sui costi del ciclo di vita stabilendo un maggiore punteggio per i beni, i lavori e i servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull’ambiente;
- armonizzazione delle norme in materia di trasparenza, pubblicità, durata e tracciabilità delle procedure di gara e delle fasi ad essa prodromiche e successive, anche al fine di concorrere alla lotta alla corruzione, di evitare conflitti di interesse e di favorire la trasparenza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, individuando espressamente i casi nei quali, in via eccezionale, è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza precedente pubblicazione di un bando di gara;
- revisione della disciplina in materia di pubblicità degli avvisi e dei bandi di gara, facendo ricorso a strumenti di pubblicità informatici;
- implementazione del ruolo di vigilanza, controllo e sanzionatorio di ANAC;
- riduzione degli oneri documentali ed economici a carico dei soggetti partecipanti, con attribuzione a questi ultimi della piena possibilità di integrazione documentale non onerosa di qualsiasi elemento di natura formale della domanda, purché non attenga agli elementi oggetto di valutazioni sul merito dell’offerta;
- previsione della possibilità di utilizzo del documento di gara unico europeo (DGUE);
- introduzione di misure volte a contenere le varianti in corso d’opera, distinguendo dettagliatamente le variazioni sostanziali e quelle non sostanziali;
- utilizzo, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento, per l’aggiudicazione degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, seguendo un approccio costo/efficacia, quale il costo del ciclo di vita includendo il «miglior rapporto qualità/prezzo» valutato con criteri oggettivi sulla base di aspetti qualitativi, ambientali o sociali connessi all’oggetto dell’appalto pubblico o del contratto di concessione; regolazione espressa dei criteri, delle caratteristiche tecniche e prestazionali e delle soglie di importo entro le quali le stazioni appaltanti ricorrono al solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta, nonché indicazione delle modalità di individuazione e valutazione delle offerte anomale, che rendano non predeterminabili i parametri di riferimento per il calcolo dell’offerta anomala, con particolare riguardo ad appalti di valore inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria (previsione dell’applicazione del solo criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per gli appalti relativi a servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché per quelli ad alta intensità di manodopera);
- creazione presso ANAC di un albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici.
Il D.D.L., che prevede tutta un’altra serie di direttive riguardanti, ad esempio, le forme di partenariati pubblico-private, l’in house providing, la finanza di progetto, l’avvalimento, le concessioni, il subappalto (con obbligo di indicare in sede di offerta le parti di contratto che si intendono subappaltare e, in taluni casi, i nominativi dei subappaltatori) etc., si occupa anche di profili processuali e delle risoluzioni delle controversie, avendo espressamente previsto quale criteri cui conformare i successivi provvedimenti legislativi:
- la razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto, disciplinando il ricorso alle procedure arbitrali al fine di escludere il ricorso a procedure diverse da quelle amministrate;
- al fine di garantire l’efficacia e la speditezza delle procedure di aggiudicazione ed esecuzione dei contratti pubblici, previsione, nel rispetto della pienezza della tutela giurisdizionale, che, già nella fase cautelare, il giudice debba tenere conto del disposto dell’articolo 121, comma 1, del codice del processo amministrativo (concernenti i casi di gravi violazioni del diritto comunitario, che comportano l’inefficacia del contratto eventualmente stipulato) e, anche nelle ipotesi di cui all’art. 122 (concernente le ipotesi meno gravi) e nell’applicazione dei criteri ivi previsti, debba valutare se il rispetto di esigenze imperative connesse a un interesse generale possa influire sulla misura cautelare richiesta;
- revisione e razionalizzazione del rito abbreviato per i giudizi di cui alla lettera a) del comma 1 dell’art. 119 del codice del processo amministrativo, anche mediante l’introduzione di un rito speciale in camera di consiglio che consente l’immediata risoluzione del contenzioso relativo all’impugnazione dei provvedimenti di esclusione dalla gara o di ammissione alla gara per carenza dei requisiti di partecipazione; previsione della preclusione della contestazione di vizi attinenti alla fase di esclusione dalla gara o ammissione alla gara nel successivo svolgimento della procedura di gara e in sede di impugnazione dei successivi provvedimenti di valutazione delle offerte e di aggiudicazione, provvisoria e definitiva.
Nelle prossime news letter seguiranno ulteriori aggiornamenti.


Avvalimento, specificità del contratto e possibilità/impossibilità di regolarizzazione.

TAR Campania, Salerno, Sez.I, sentenza 9 novembre 2015 n.2364
TAR Toscana, Sez.I, ordinanza 10 dicembre 2015 n.804
Come è noto, a seguito dell’introduzione dell’art.88 d.P.R.207/10 la giurisprudenza ha più volte sottolineato l’importanza che il contratto di avvalimento dettagli in modo analitico e specifico l’elenco delle risorse e dei mezzi in concreto prestati dall’impresa ausiliaria. Sul punto, da ultimo il Consiglio di Stato, con la sentenza n.5045 del 6 novembre 2015, ha anche precisato che “è pacificamente insufficiente allo scopo la pedissequa riproduzione, nel testo del contratto di avvalimento, della formula legislativa della messa a disposizione delle "risorse necessarie di cui è carente il concorrente" o espressioni equivalenti”.
Ma cosa succede se il contratto prodotto unitamente all’offerta non assolve i citati requisiti di analiticità e specificità? In particolare, in tale ipotesi il concorrente va automaticamente escluso o, viceversa, gli è concessa la possibilità di regolarizzare la documentazione e, dunque, di specificare il contenuto del contratto?
A questi interrogativi hanno risposto –con due soluzioni fra loro diametralmente opposte- il TAR Campania ed il TAR Toscana, con le pronunce qui annotate.
Il TAR Salerno, anzitutto, come peraltro aveva già fatto, in passato, il TAR Ancona (cfr. sentenza TAR Ancona n.1018 dell’11.12.14) si è detto favorevole alla possibilità del soccorso istruttorio. Con la sentenza allegata, infatti, non sospesa dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, ordinanza cautelare n.54 del 14.01.16), il TAR Salerno ha osservato che “Nelle gare pubbliche è incontestabile il potere della stazione appaltante di chiedere eventuali chiarimenti ed integrazioni qualora sussista il dubbio che l'oggetto dell'avvalimento non sia esclusivamente documentale (attestazione SOA), ma riguardi anche specifiche risorse e mezzi materiali necessari per l'esecuzione dell'appalto, di cui potrebbe essere sprovvista l'aggiudicataria e di cui l'Amministrazione ritenga necessario acquisirne descrizione analitica ovvero acquisire dichiarazione negativa riguardo a risorse e mezzi materiali messi a disposizione, poiché interamente posseduti dall'aggiudicataria che si avvale esclusivamente del documento cartaceo”. In tal caso il soccorso, sempre secondo il TAR Salerno, non si rivolverebbe in una inammissibile sanatoria dell’atto nullo, in quanto la patologia dell’atto non può configurarsi rispetto ad un testo contrattuale incompleto e, pertanto, ancora non sottoponibile ad un vaglio informato a precisi canoni normativi. E neppure ricorrerebbe il rischio di aggiramento delle norme in materia di requisiti di partecipazione alle gare d’appalto (che, come è noto, devono sussistere al momento della scadenza del termine di presentazione della domanda), in quanto non si tratta di consolidare un requisito mancante, ma di esplicitare un contenuto contrattuale equivoco e non adeguatamente esplicitato.
Di segno opposto, invece, la pronuncia del TAR Toscana. Quest’ultimo, infatti, con la recente ordinanza n.804 del 10 dicembre 2015, ha respinto la richiesta di sospensione del provvedimento impugnato (provvedimento di esclusione, motivato con riguardo all’indeterminatezza del contratto di avvalimento), giudicando che “l’esistenza di un valido contratto di avvalimento pare costituire, nei confronti della ricorrente, requisito essenziale di partecipazione alla gara, con la conseguenza che non sembra consentito supplire al difetto di determinatezza dei suoi contenuti mediante l’applicazione dell’istituto del soccorso istruttorio (TAR Lombardia, Brescia, II, 7.10.2015, n. 1254; TAR Lombardia, Milano, IV, 27.1.2015, n. 301)”. Nello stesso senso si era già espresso anche il TAR Calabria (sentenza n.1165 del 1° luglio 2015), osservando che il soccorso istruttorio non può ritenersi operante quando nel contratto di avvalimento l'impegno assunto dall'impresa ausiliaria in favore dell'impresa avvalente risulti generico e indeterminato, non essendo precisate analiticamente le risorse, tecniche, materiali, strumentali ed umane messe effettivamente a disposizione, né il tempo per il quale le stesse risorse sono messe a disposizione dell'impresa ausiliata. In tal caso, infatti, sempre secondo il TAR Calabria, non si tratterebbe di un'omissione o una dimenticanza surrogabile con l'istituto del soccorso, bensì dell'assenza di un requisito di un contratto stipulato tra la concorrente e un terzo, con la conseguenza che la genericità dello stesso non potrebbe essere sostituita con una determinazione postuma ovvero, ancora, un contratto nullo per indeterminabilità dell'oggetto, che parimenti non può essere sanato con una dichiarazione postuma, in mancanza di espressa previsione normativa.

Provvedimento TAR Campania
Provvedimento TAR Toscana

Aggiudicazione illegittima e contratto già eseguito: anche l’appaltatore, oltre che la stazione appaltante, può essere chiamato a risarcire il danno subito dal concorrente che ha presentato e vinto il ricorso.

TAR Puglia, Lecce, Sez.II, ordinanza 12 dicembre 2015 n.668
E’ un dato di comune esperienza quello per cui, qualora si impugni l’aggiudicazione di una gara, la “partita vera” si gioca in sede cautelare, vale a dire con la decisione della c.d. “sospensiva”. Questo perché, nel caso in cui la richiesta cautelare fosse rigettata, l’amministrazione può procedere alla stipula del contratto con l’aggiudicatario. Il quale, il più delle volte, nel momento in cui il TAR ritornerà sulla questione, per decidere il ricorso nel merito, avrà ormai eseguito interamente l’appalto o, comunque, l’esecuzione sarà giunta ad una fase talmente avanzata per cui, anche se il ricorso fosse accolto, la sostituzione di un’impresa all’altra sarebbe ormai impossibile o antieconomica (in proposito si ricorda, infatti, che, ai sensi dell’art.122 del codice del processo amministrativo, quando il TAR o il Consiglio di Stato annullano l’aggiudicazione essi hanno la facoltà, ma non l’obbligo, di dichiarare inefficace il contratto e disporre il subentro, dovendo svolgere una valutazione inerente “lo stato di esecuzione del contratto”).
Ovviamente se l’istanza cautelare è respinta ma successivamente, nel giudizio di merito, il TAR accoglie il ricorso, l’impresa vincitrice che non sia chiamata a subentrare avrà diritto al risarcimento del danno “per equivalente”, vale a dire in termini monetari. Ma si tratta di una soluzione che, il più delle volte, non rende la dovuta soddisfazione al ricorrente, anche per la difficoltà di dimostrare l’utile che effettivamente sarebbe stato ricavato dalla commessa e, comunque, per la tendenza del TAR ad operare liquidazioni molto parsimoniose, dopo una serie di abbattimenti del quantum spesso poco giustificati.
Avvicinandoci al tema trattato nell’ordinanza del TAR Lecce, però, va detto che l’ipotesi risarcitoria è vista, tradizionalmente, come un problema (soltanto) dell’amministrazione. Un problema, cioè, che non toccherebbe l’esecutore del contratto, che in ogni caso riceverebbe gli introiti anche se il contratto è stato conseguito senza titolo, ossia all’esito di un’aggiudicazione che nel frattempo è stata dichiarata illegittima ed annullata dal TAR.
Ma è proprio tale ultimo assunto che merita di essere rivisto, alla luce della vicenda decisa dal TAR Puglia, che ora si segnala. Nel caso di specie, infatti, è stato chiarito che, qualora l’aggiudicazione sia risultata illegittima per un vizio dell’offerta imputabile a colpa dell’aggiudicatario, anche quest’ultimo è responsabile, in solido con l’amministrazione, del danno subito dalla ricorrente, che avrebbe dovuto vincere la gara. E pertanto è corretto che l’amministrazione si rivalga su di essa di quanto è stata chiamata a corrispondere a titolo risarcitorio, anche, eventualmente, attraverso successive ritenute da applicare agli stati di avanzamento, ovviamente se il contratto è ancora in corso di esecuzione.
Nello specifico la stazione appaltante (una ASL pugliese), dopo aver dovuto risarcire la ditta ricorrente per la mancata aggiudicazione di un’importante gara d’appalto, relativa al servizio di prenotazioni delle prestazioni sanitarie (CUP), aveva esercitato la propria rivalsa nei confronti dell’aggiudicatario illegittimo, trattenendo, mediante ritenute mensili, parte delle somme dovute a titolo di corrispettivo dell’appalto in corso di esecuzione (contratto non dichiarato inefficace dal giudice amministrativo, nonostante l’intervenuto annullamento dell’aggiudicazione, per prevalenti ragioni d’interesse pubblico).
La ditta esecutrice aveva impugnato e chiesto l’annullamento, previa sospensione, di tale ultimo atto dell’ASL, giudicato illegittimo. Epperò il TAR ha giudicato infondata la doglianza, almeno in sede cautelare, richiamando la chiara statuizione del Consiglio di Stato che, nel disporre l’annullamento dell’aggiudicazione, aveva scritto a chiare lettere che “Considerato che il danno è stato determinato dal comportamento del RTI CONSIS (la ditta risultata illegittimamente aggiudicataria), ritiene la Sezione che dello stesso debba infine rispondere, ai sensi dell'art. 2055 del c.c., lo stesso RTI CONSIS, con la conseguenza che l'Amministrazione, tenuta al risarcimento del danno per effetto della richiesta giudiziale di GPI, può esercitare poi il regresso contro il RTI CONSIS (in termini: Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2012, n. 115). L'Amministrazione, a tal fine, potrà anche procedere ad una modifica del contratto in essere con CONSIS per operare una corrispondente riduzione dei canoni da corrispondere tenendo conto che la sua offerta è stata ritenuta da questa Sezione in violazione delle regole di gara e che, ciò nonostante, per ragioni di pubblico interesse, si è ritenuto di non dover dichiarare inefficace il contratto già sottoscritto”.
Il TAR Puglia ha inoltre soggiunto che la pretesa restitutoria dell’ASL è ammissibile e legittima in quanto, in base al principio di causalità degli spostamenti patrimoniali e al divieto di arricchimenti ingiustificati, l’Ordinamento non può tollerare che la stazione appaltante si veda costretta a “pagare” due volte la prestazione oggetto dell’appalto, una prima volta, sotto forma di corrispettivo, all’aggiudicatario (rivelatosi) illegittimo e una seconda volta, sotto forma di risarcimento monetario, all’aggiudicatario legittimo.
Il tema, sia pure non frequente nella prassi, a ben vedere non è del tutto nuovo, essendo già stato trattato e risolto nello stesso senso almeno da parte di altre tre pronunce (Cons. Stato, n.115/12; n.1750/08; C.G.A.R.S. n.600/08). All’atto pratico, ne deriva che la ditta aggiudicataria ha tutto l’interesse a difendere le proprie ragioni (e, cioè, a sostenere la legittimità dell’aggiudicazione ad essa della gara) anche quelle volte in cui l’esecuzione sia già terminata o, comunque, sia giunta ormai ad una fase talmente avanzata da escludere la possibilità di una sostituzione dell’appaltatore.

Testo della sentenza

La sanzione di cui agli art. 38, comma 2 bis, e 46, comma 1 ter, del d.lgs. n. 163 del 2006 può essere applicata solamente qualora il concorrente che sia incorso in un'irregolarità essenziale decida di avvalersi del soccorso istruttorio, integrando o regolarizzando la dichiarazione resa, ovvero anche se questi, non avvalendosi del soccorso istruttorio, venga escluso dalla procedura di gara?

T.A.R. L'Aquila, (Abruzzo), sez. I, sentenza 25 novembre 2015 n.784.
L’argomento è già stato trattato nella precedente newsletter (n. 4), in relazione ai chiarimenti che l’ANAC aveva fornito a proposito del nuovo comma 2bis dell’art. 38 D.Lgs. 163/2006, introdotto dall’art. 39 D.L. 90/14.
Come è noto, il richiamato art. 38 c. 2bis, prevede che: “La mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, ne' applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara. Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, ne' per l'individuazione della soglia di anomalia delle offerte”.
Come è pure noto, è stato introdotto anche il comma 3ter all’art. 46 del Codice dei contratti, che ha esteso l’operatività del predetto art. 38, c. 2bis, ad “ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara”.
Con determinazione n. 1/15 l’A.N.A.C. ha affermato che il pagamento della sanzione sarebbe dovuto solo nel caso in cui il concorrente, che abbia presentato un’offerta irregolare, intenda avvalersi della procedura di sanatoria.
Nella nostra precedente newsletter avevamo per contro manifestato una qualche perplessità in relazione a tale presa di posizione, dato che il novellato art. 38, c. 2bis, sembra far scaturire l’obbligo di versamento della sanzione dalla semplice presentazione di un’offerta priva di elementi essenziali, indipendentemente dalle vicende successive (che rientrano nella disponibilità del concorrente).
Ora il T.A.R. Abruzzo, nella sentenza qui segnalata, sembra confermare che tali perplessità non siano prive di fondamento.
Il ricorso deciso da detta sentenza aveva ad oggetto la richiesta di annullamento di una sanzione applicata da un’Amministrazione comunale in forza dell'art. 38, comma 2 bis, e 46, comma 1 ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, con conseguente escussione della cauzione provvisoria, nei confronti di un concorrente che, in seguito alla contestazione di una carenza della sua offerta, aveva comunicato la volontà di non avvalersi del “nuovo” soccorso istruttorio, così rendendo definitiva la sua esclusione.
Il TAR ha innanzi tutto evidenziato che l'art. 39 del D.L. n. 90 del 2014 è chiaramente orientato alla “dequalificazione delle irregolarità dichiarative da fattori escludenti a carenze regolarizzabili o sanzionabili in via pecuniaria, soluzione questa che punta ad appurare il più possibile l'effettiva titolarità dei requisiti richiesti, senza vanificare o stravolgere l'esito della gara in ragione di mere carenze formali (Tar Valle d'Aosta, n. 25 del 2015)”.
E ha altresì osservato come “Le modifiche introdotte risultano, peraltro, finalizzate a superare le incertezze interpretative e applicative del combinato disposto degli artt. 38 e 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, mediante la procedimentalizzazione del potere di soccorso istruttorio (che diventa doveroso per ogni ipotesi di mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni sostitutive) e la configurazione dell'esclusione dalla procedura come sanzione unicamente legittimata dall'omessa produzione, integrazione o regolarizzazione delle dichiarazioni carenti entro il termine assegnato dalla stazione appaltante (e non più da carenze originarie) (C.d.S. n. 5890 del 2014)”.
Ciò premesso, il TAR ha ritenuto di dover aderire all'orientamento interpretativo secondo cui la sanzione di cui agli artt. 38, comma 2 bis, e 46, comma 1 ter, del d.lgs. n. 163 del 2006 possa essere applicata non solo quando il concorrente che sia incorso in un'irregolarità essenziale decida di avvalersi del soccorso istruttorio, integrando o regolarizzando la dichiarazione resa, ma anche nell'ipotesi in cui questi, non avvalendosi del soccorso istruttorio, venga escluso dalla procedura di gara.
Il TAR ha espressamente ricordato l’opposto orientamento espresso dall’ANAC, nella citata determinazione 1/15 e, tuttavia, se ne è discostato, facendo leva in primo luogo sul tenore testuale del comma 2 bis dell'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 che “chiarisce che è la mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale nelle dichiarazioni sostitutive volte ad accertare i requisiti di partecipazione alle procedure di gara, in sé per sé considerate, ad obbligare il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara…appare evidente dalla lettera della disposizione che l'essenzialità dell'irregolarità determina in sé per sé l'obbligo del concorrente di pagare la sanzione pecuniaria prevista dal bando, a prescindere dalla circostanza che questi aderisca o meno all'invito, che la stazione appaltante deve necessariamente fargli, di sanare detta irregolarità”.
In secondo luogo, il TAR ha ritenuto che tale interpretazione sia altresì avvalorata dalla ratio della disposizione esaminata, la quale, è da ravvisare, indubbiamente, nell'esigenza di superare le incertezze interpretative e applicative del combinato disposto degli artt. 38 e 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, mediante la procedimentalizzazione del potere di soccorso istruttorio, che è diventato doveroso per ogni ipotesi di mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni sostitutive, anche "essenziale".
Proprio per questo - e in particolare per garantire la serietà delle offerte presentate, per favorire la responsabilizzazione dei concorrenti, per evitare spreco di risorse - il nuovo comma 2 bis dell'art. 38 citato ha introdotto una sanzione pecuniaria, che non è alternativa e sostitutiva rispetto all'esclusione, ma colpisce l'irregolarità essenziale, in sé per sé considerata, indipendentemente dal fatto che essa venga successivamente sanata o meno dall'impresa interessata.
L'introduzione della sanzione pecuniaria, in caso di irregolarità essenziali nelle dichiarazioni sostitutive, quindi, contribuisce a garantire la celere e sicura verifica del possesso dei requisiti di partecipazione in capo ai concorrenti, in un'ottica di buon andamento ed economicità dell'azione amministrativa, a cui devono concorrere anche i partecipanti alla gara, in ossequio ai principi di leale cooperazione, di correttezza e di buona fede
”.
Il TAR ha infine motivatamente escluso che tale interpretazione possa presentare profili di contrasto con il diritto comunitario, adombrati dalla stessa ANAC in un successivo chiarimento.
In attesa che sull’argomento si formi un orientamento più stabile, si può per ora concludere nel senso che allo stato il concorrente che non intenda aderire all’invito della Stazione appaltante, volto a regolarizzare la propria documentazione, si esponga comunque al pagamento della sanzione e all’escussione della cauzione provvisoria.

Testo della sentenza

Ancora sugli oneri della sicurezza aziendali negli appalti di lavori: la parola passa ai Giudici Europei.

TAR Piemonte, Torino, Sez.II, ordinanza n.1745 del 16 dicembre 2015.
Più volte abbiamo riferito, nei precedenti numeri della Newsletter, dell’acceso dibattito giurisprudenziale maturato attorno al tema dell’indicazione dei costi interni di sicurezza aziendale, in particolare nell’ambito delle gare per l’affidamento di appalti pubblici di lavori.
Sul punto, come sappiamo, la normativa nazionale non è affatto chiara, perché non spiega se anche per gli appalti di lavori il concorrente sia tenuto all’indicazione specifica e separata, nell’ambito della propria offerta economica, dell’incidenza degli oneri per la sicurezza, né quale sia la conseguenza della mancata indicazione degli oneri stessi. E così la soluzione al quesito è stata di fatto rimessa all’interpretazione dei TT.AA.RR., prima, poi del Consiglio di Stato e, infine, quando il mare magum di opinioni tra loro discordanti non è parso ulteriormente tollerabile, anche dell’Adunanza Plenaria, alla quale, come è noto, il nostro Ordinamento riserva una funzione di sintesi e nomofilachia (art.99 d.lvo 104/10).
Si pensava, però, che il problema fosse ormai superato dopo che l’Adunanza Plenaria, prima con la sentenza n.3/2015 e poi, in seguito, anche con la sentenza n.9/2015, ha ribadito che l’omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendale non è sanabile e che tale principio deve valere per tutte le gare, indipendentemente dalla data in cui sono state indette.
Ma così non è stato, come dimostra l’ordinanza del TAR Piemonte, che ora si segnala. Infatti, non essendo percorribili ulteriori rimedi a livello nazionale, i giudici torinesi, evidentemente poco convinti della soluzione resa e ribadita dalla Plenaria, hanno posto la questione direttamente alla Corte di Giustizia. In effetti l’ordinanza di rimessione, sia pure redatta con apprezzabile garbo istituzionale, non nasconde le radicate perplessità del TAR per un intervento di interpretazione estensiva (quello della Plenaria) che non trova riscontro nelle norme di legge, tanto è vero che la questione pregiudiziale non verte sulla compatibilità di queste ultime con l’ordinamento comunitario, quanto, piuttosto, sulla compatibilità con i principi europei dell’interpretazione che di tali norme nazionali è stata sancita dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Il presupposto da cui muove il giudice rimettente è che nessuna norma prevede l’obbligo, anche per gli appalti di lavori, di indicazione separata dei costi di sicurezza aziendale: non l’art.87, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, in punto di verifica delle offerte anormalmente basse, perché l’obbligo di specifica indicazione dei costi sulla sicurezza aziendale è qui letteralmente riferito ai soli appalti di servizi e forniture; ma neppure gli artt. 86, comma 3-bis, del d.lgs. n.163 del 2006 e 26, comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008 che, con formulazioni analoghe, parrebbero riferire l’obbligo di specifica indicazione agli enti aggiudicatori e non ai concorrenti.
Il TAR Torino, dunque, si è posto l’interrogativo se la normativa nazionale, così interpretata, sia compatibile con i principi euro-unitari, di matrice giurisprudenziale, della tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, unitamente ai principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza, di cui (da ultimo) alla direttiva n. 2014/24/UE.
La questione posta alla Corte di Giustizia, in particolare, tende ad appurare se, nella materia degli appalti pubblici di lavori, i richiamati principi euro-unitari possano essere declinati nel senso che, laddove la normativa di gara (bando e disciplinare) non abbia prescritto espressamente, ai fini della valida partecipazione a una gara d’appalto per lavori pubblici, la separata indicazione dei costi di sicurezza aziendale nell’offerta economica, quei principi possano giustificare l’esclusione dalla gara dell’impresa che non abbia indicato, nella propria offerta economica, i costi per la sicurezza aziendale, nonostante altre concorrenti lo abbiano invece fatto, anche in chiave di rispetto del canone di favor partecipationis.
Le perplessità del giudice remittente muovono dalla considerazione dell’insussistenza di una colpa inescusabile nel comportamento dell’impresa che sia stata esclusa per la mancata indicazione degli oneri di sicurezza, in ragione di un contesto normativo di incerta applicazione ed in assenza di una specifica richiesta della lex specialis di gara, finendo per restringere indebitamente la platea dei possibili concorrenti, con sostanziale violazione dei connessi principi di libera concorrenza e di libera prestazione dei servizi nell’ambito del territorio dell’Unione sanciti dal TFUE. Ciò in quanto, come è evidente, la censurata normativa italiana potrebbe viepiù comportare discriminazioni applicative nei confronti delle imprese comunitarie non italiane che volessero partecipare ad un appalto di lavori bandito da un’amministrazione aggiudicatrice italiana, attese le oggettive difficoltà di conoscenza del diritto italiano, quale risultante dalla riportata interpretazione c.d. nomofilattica dell’Adunanza plenaria.
In attesa della decisione dei Giudici europei, dunque, sussiste un nuovo e ragionato argomento per contestare eventuali esclusioni che fossero disposte a causa della mancata indicazione degli oneri della sicurezza, quanto meno tutte le volte in cui la lex specialis non avesse chiarito, a priori, la sussistenza di siffatto onere dichiarativo.

Testo della sentenza

La presenza di precedenti inadempienze dell’operatore economico nei confronti della Stazione appaltante, rilevanti ai sensi dell’art. 38 c. 2 lett. f) del Codice contratti, può giustificare la determinazione di quest’ultima di non invitare l’operatore medesimo alle successive procedure negoziate di affidamento. La “motivata valutazione” della Stazione appaltante, di cui allo stesso art. 38, c. 2 lett. f), può essere desunta dalle contestazioni da questa sollevate nel corso del precedente rapporto contrattuale.

Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 7 dicembre n. 5564.
Come è noto, in base all’art. 38, comma 1, lett f), del Codice contratti, sono esclusi dalla partecipazione e dagli affidamenti di appalti pubblici i soggetti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante.
La norma comprende due ipotesi, la prima relativa a prestazioni affidate dalla stessa amministrazione che ha bandito l'appalto e la seconda che riguarda la negligenza professionale in rapporti contrattuali con altre amministrazioni pubbliche.
La giurisprudenza ha chiarito che l'esclusione dalla gara non ha carattere sanzionatorio e che per procedere alla esclusione è necessario che l'amministrazione, con atto motivato, dia conto della gravità della negligenza o dell'errore professionale commesso e del rilievo che tali elementi hanno sull'affidabilità dell'impresa e sull'interesse pubblico a stipulare un nuovo contratto con la stessa (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 296 del 27 gennaio 2010, T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 25/11/2015, n. 2997).
L’interessante sentenza qui segnalata si occupa di una vicenda peculiare, in cui un operatore economico, che in precedenza aveva svolto servizio di noleggio impianti per intercettazioni in favore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Imperia, ha contestato la (implicita) determinazione di quest’ultima di non invitarlo alla rinnovata procedura negoziata di affidamento del servizio medesimo, una volta scaduto il suo precedente contratto.
Tale determinazione si è basata proprio sul disposto di cui all’art. 38 c. 1, lett. f), citato, ma con l’importante annotazione che tale norma è stata utilizzata, non già al fine di giustificare l’esclusione del concorrente dalla procedura di affidamento, bensì ancor più a monte, per precludere in radice la sua partecipazione alla stessa procedura.
Nel caso di specie, infatti, si era verificato che il suddetto operatore aveva già gestito il predetto servizio rendendosi responsabile di varie negligenze ed inadempienze, tali da compromettere il rapporto fiduciario con l’Amministrazione appaltante.
Quest’ultima, tuttavia, aveva preferito portare alla, ormai prossima, scadenza naturale il contratto stesso (evitando così il contenzioso che avrebbe potuto scaturire in caso di risoluzione unilaterale), salvo decidere di non invitare l’impresa negligente alla successiva procedura negoziata.
La sentenza del Consiglio di Stato, confermando l’orientamento del giudice di primo grado, ha ritenuto innanzi tutto ragionevole e corretto invocare la previsione di cui all’art. 38 c. 1 lett. f), pur non trattandosi di provvedimento di esclusione, bensì di mancato invito.
In secondo luogo, il Consiglio di Stato ha altresì chiarito che, in talune particolari circostanze, la “motivata valutazione”, che comunque l’Amministrazione è tenuta ad esternare in base alla richiamata norma, può anche non essere contenuta in un provvedimento “ad hoc” emesso nell’ambito della nuova procedura di affidamento, bensì essere desunta dai provvedimenti assunti dalla stessa Amministrazione nel corso dell’esecuzione del precedente rapporto contrattuale.
Infatti : “se è vero che la citata norma prevede che l’esclusione venga disposta “secondo motivata valutazione della stazione appaltante”, è altresì indubitabile che l’esistenza in tal senso di una valutazione discrezionale dell’amministrazione debba essere verificata avuto riguardo alla peculiarità della vicenda oggetto di causa, la quale si caratterizza per la circostanza che l’operatore non invitato era parte del pregresso rapporto contrattuale inerente lo svolgimento del medesimo servizio oggetto di nuovo affidamento.
In tale situazione, dunque, non può farsi esclusivo riferimento, ai fini dell’accertamento della concreta esistenza di una determinazione di non invito e della sua motivazione, agli atti specificamente inerenti la singola procedura concorsuale, ma occorre estendere l’indagine anche a quelli che hanno caratterizzato il rapporto contrattuale in scadenza.
Sicché la determinazione di mancato invito e le sue ragioni possono essere individuate anche in atti precedenti nei quali la pubblica amministrazione abbia in anticipo chiaramente palesato la propria volontà di non affidare il servizio per il futuro a tale operatore economico.
Tale valutazione, invero, ove esistente, esprime già le ragioni della “motivata valutazione” e va a costituire, nella nuova procedura, l’atto di mancato invito ovvero ad integrare, quanto a supporto motivazionale, l’atto implicito di mancato invito che, in assenza di espressa determinazione provvedimentale, voglia individuarsi nel nuovo procedimento di affidamento del servizio.
Tanto è possibile, pur nella diversità formale dei procedimenti, in considerazione della identità dei soggetti coinvolti nelle vicende procedimentali e nel collegamento tra il precedente rapporto contrattuale ed il nuovo procedimento di affidamento, configurando quest’ultimo l’attività amministrativa diretta alla formazione del nuovo contratto relativo al medesimo servizio
”.

Testo della sentenza

Fallimento dell’impresa mandante di un’ATI. Quando è possibile la sostituzione?

TAR Lazio, Latina, Sez.I, sentenza 9 dicembre 2015 n.805.
L’art.37 co.9 d.lvo 163/06 prevede che, “in caso di fallimento di uno dei mandanti … il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”.
Tale disposizione è certamente applicabile alla fase successiva alla stipulazione del contratto. Ma cosa succede qualora il fallimento intervenga prima della stipula del contratto? L’indicazione di un nuovo mandante, in tal caso, è comunque possibile o, viceversa, l’ATI è esclusa dalla gara?
A questa domanda ha risposto il TAR Latina, con la sentenza che si annota, descrivendo una diversa disciplina a seconda che il fallimento intervenga prima dell’aggiudicazione definitiva ovvero nell’arco temporale compreso fra quest’ultima e la stipulazione del contratto.
Nel primo caso (fallimento anteriore all’aggiudicazione definitiva), l’esclusione pare obbligata, perché i requisiti generali dell’art.38 d.lvo 163/06 (e, dunque, anche il requisito dell’in bonis) devono essere posseduti non soltanto fino alla scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione, ma anche per tutto il prosieguo della gara (si veda da ultimo Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 20 luglio 2015, n. 8).
Diverso però è il caso, almeno secondo il TAR Latina, in cui il fallimento intervenga nella fase successiva, tra l’aggiudicazione definitiva e la stipula del contratto, potendo, in tal caso, trovare applicazione l’art.37, comma 19, d.lvo 163/06. Questa conclusione, a dire del TAR, troverebbe supporto anzitutto in un dato letterale, costituito dalla circostanza che l’art.37 comma 19 non svolge specifico riferimento ai fallimenti dichiarati in costanza del contratto. Né l’espressione “lavori…ancora da eseguire” potrebbe essere interpretata quale sicuro riferimento alla fase di esecuzione del contratto, perché essa non esclude che possa riferirsi “a tutti i lavori”. Del resto il fallimento potrebbe anche verificarsi dopo la stipulazione del contratto ma prima che i lavori siano iniziati, per cui l’espressione sopra indicata non è un sicuro indice che la previsione dell’art.37 comma 19 si riferisca alla fase successiva alla conclusione del contratto e non possa “coprire” anche la fase che segue all’aggiudicazione definitiva.
Questa soluzione, infine, appare anche giustificata sul piano degli interessi dato che –se il fallimento colpisce la mandante– l’applicazione della disposizione dell’articolo 37 comma 19 tutela sia l’interesse della mandataria a non perdere la commessa che quello della stazione appaltante a ottenere sollecitamente la prestazione desiderata, senza dover procedere ad annullamenti (con il rischio di contenziosi) e parziali rinnovazioni del procedimento (nuova aggiudicazione definitiva con connessa verifica della persistenza del possesso dei requisiti da parte del subentrante). Tra l’altro, ha aggiunto il TAR, la soluzione opposta (e, cioè, la revoca dell’aggiudicazione) pone a carico della mandataria il rischio di fallimenti della mandante che si verifichino in conseguenza di ritardi nella stipulazione cui essa sia del tutto estranea (che è poi la fattispecie all’esame del TAR, dato che in questo caso la stipulazione non era avvenuta prontamente a causa del ricorso proposto contro l’originaria aggiudicazione).
Per questo complesso di ragioni, in definitiva, il TAR Latina ha ritenuto che la previsione dell’articolo 37, comma 19, copra anche l’ipotesi in cui il fallimento della mandante o di una mandante si verifichi dopo l’aggiudicazione definitiva e prima della stipulazione del contratto: non v’è ragione, dunque, in questo caso, di impedire alla mandataria di stipulare in proprio, se in possesso dei requisiti, ovvero di associarsi con altra mandante, pure in possesso dei requisiti richiesti.

Testo della sentenza

I criteri e le formule matematiche stabiliti dalla lex specialis ai fini della valutazione delle offerte dei concorrenti sono vincolanti e non possono essere modificati dalla Commissione giudicatrice, salvo l’esercizio del potere di autotutela da parte della Stazione appaltante.

Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11 dicembre 2015 n. 5656.
La sentenza qui segnalata ribadisce un principio che, pur apparendo ampiamente consolidato, sovente risulta disatteso dagli organi preposti alla valutazione delle offerte. Come è noto, l'offerta economicamente più vantaggiosa, istituto d'origine comunitaria, costituisce il metodo d'aggiudicazione degli appalti pubblici che, anziché collegarsi all'automatica valutazione della convenienza economica su base meramente quantitativa, si fonda sulla comparazione tra il dato economico e quello tecnico, che offre alla commissione giudicatrice un penetrante potere di valutazione discrezionale delle offerte e anche un complesso di parametri che ne guidano il giudizio e che, come tali, devono essere esplicitati nel bando di gara o nella lettera-invito (T.A.R. Lazio, Sez. III, 22 settembre 2015 n. 11347). Nella vicenda considerata dalla sentenza qui annotata è accaduto che, nell’ambito di una procedura di gara indetta da un’Amministrazione comunale per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico, la società classificatasi al secondo posto avesse impugnato davanti al T.a.r. per la Sardegna gli atti della procedura, contestando tra l’altro l’operato della Commissione giudicatrice, per non avere applicato il criterio di attribuzione del punteggio indicato dal disciplinare di gara per la parte economica dell’offerta. Ciò in quanto si era avveduta dell’erroneità del criterio medesimo e degli effetti paradossali che sarebbero discesi dalla sua applicazione. Tuttavia, anziché rimettere gli atti di gara alla Stazione appaltante, affinché operasse in via di autotutela, la Commissione ha ritenuto di procedere comunque alla valutazione delle offerte, facendo ricorso al diverso criterio stabilito dall’Allegato A sub art. 4, co. 3, d.P.C.M. n. 117 del 13 marzo 1999. Il Consiglio di Stato, confermando la statuizione di primo grado, ha giudicato illegittimo un siffatto operato, dal momento che, in base alla disciplina di settore (nazionale ed europea) e conformemente ai principi sul punto elaborati dalla Corte di giustizia UE “i criteri, i metodi e le formule matematiche che presiedono alle attività valutative rimesse agli organi tecnici incaricati di vagliare le offerte, devono essere preventivamente indicati nella legge di gara e la loro scelta non può essere rimessa al seggio di gara, meno che mai dopo l’apertura delle buste (come verificatosi nel caso di specie)”. Pertanto, la gara è stata annullata, così rendendo necessaria la rinnovazione della procedura. La sentenza è del tutto condivisibile ed in linea con i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, anche comunitaria. Infatti, quando per l'aggiudicazione della gara viene prescelto il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa rientra nella discrezionalità della stazione appaltante la determinazione degli elementi e dei relativi pesi o punteggi. Tuttavia, come evidenziato dalla costante giurisprudenza amministrativa sul punto, le regole contenute nella lex specialis di gara pubblica vincolano non solo i concorrenti, ma anche la stessa amministrazione, che non conserva più alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione, non potendo disapplicarle neppure nel caso in cui eventualmente talune di esse risultino inopportunamente o incongruamente formulate, salva la sola possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela , all'annullamento del bando (cfr., ex multis, Cons.St., sez. V, 31.10.2012, n. 5570).

Testo della sentenza

Il criterio di attribuzione del punteggio per l’offerta economica previsto dall'articolo 283 del d.P.R. n. 207/2010, Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici, e dal relativo Allegato P, punto Il, lett. b), nella parte in cui prevede la formula V(a)i = Ra/Rmax, è legittimo anche dal punto di vista comunitario, risultando conforme ai principi di ragionevolezza e parità di trattamento.

T.A.R. Lazio, Roma, Sez. IIII, sentenza 22 settembre 2015 n. 11347.
E’ questa la conclusione a cui è giunta la sentenza del T.A.R. Lazio, qui segnalata, in esito ad un contenzioso avviato da un’importante operatore del settore sanitario, in relazione alla gara indetta da una A.O. lombarda per l'aggiudicazione della fornitura di sistemi analitici completi per l'esecuzione di dosaggi immonumetrici (sierovirologia).
Non deve stupire che sia stato il T.A.R. del Lazio ad occuparsi di una gara indetta da un’azienda ospedaliera lombarda, dal momento che l’impresa ricorrente aveva espressamente impugnato, oltre al bando, anche il d.P.R. 207/2010, e cioè una normativa nazionale di carattere regolamentare. Con la conseguenza che si versava in un’ipotesi di competenza inderogabile del medesimo T.A.R. del Lazio (art. 14 e ss. c.p.a.).
La ricorrente aveva contestato gli effetti distorsivi prodotti dalla formula matematica in base alla quale era stato attribuito il punteggio all'offerta economica, atteso che, nonostante il criterio di aggiudicazione fosse quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il punteggio massimo da essa ottenuto in relazione all'offerta tecnica (pari a n. 40 punti) risultava vanificato dalla rilevantissima differenza (pari a n. 55,2 punti) derivante dal punteggio relativo all'offerta economica.
La formula utilizzata era quella prevista dall’allegato P al d.P.R. n. 207/2010, Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici, punto Il, lett. b) [V(a)i = Ra/Rmax], espressamente richiamata dal disciplinare di gara.
In base a detta formula l'attribuzione dei punteggi deve avvenire in base al confronto tra i ribassi offerti dai concorrenti e non in base al prezzo offerto dai concorrenti, laddove Ra = valore offerto dal concorrente (a) in termini di ribasso percentuale; Rmax - valore dell'offerta.
In tal modo, potrebbe verificarsi che, pur a fronte di una differenza tra ribassi sostanzialmente contenuta, il punteggio attribuito alla migliore offerta economica sia notevolmente più alto di quello attribuito alla seconda classificata (come si apprende dalla sentenza, nella fattispecie erano state presentate due offerte che si differenziavano in termini economici di solo il 9,88%, ma, in applicazione della suddetta formula, è stato attribuito un punteggio di n. 60 punti alla prima classificata e di soli n. 4,84 punti alla seconda classificata).
L’esito sarebbe stato invece diverso, laddove fosse stata applicata una formula matematica basata sul confronto tra i prezzi e non tra i ribassi (quale ad esempio la formula secondo cui Poe = XM x (Pm / P), dove Poe sta per punteggio dell'offerta economica, XM per punteggio massimo attribuibile (60 punti), Pm per prezzo dell'offerta più bassa e P per prezzo dell'offerta considerata).
Il tema non è nuovo e di esso si era già occupata anche l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nel parere 22/3/2012 n. REG 8/2012 il quale ha sottolineato come la natura propria dell'offerta economicamente più vantaggiosa "postula la ricerca di un equilibrio tra prezzo e qualità, necessariamente correlato alla specificità di ciascun affidamento, non deve essere tradita, riconoscendosi al criterio prezzo un peso ponderale sproporzionato rispetto a quello attribuito agli altri criteri da tenere in considerazione nella scelta dell'offerta migliore".
Il T.A.R. del Lazio, con una sentenza ampiamente motivata, ha respinto ogni censura, in sintesi rilevando che:
(i) l'articolo 83 del d.lgs. n. 163/2006 statuisce che, quando il contratto è affidato con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appaltanti devono "utilizzare metodologie tali da consentire di individuare un unico parametro numerico finale l'offerta più vantaggiosa" e rinvia alla successiva approvazione del Regolamento la definizione delle predette metodologie;
(ii) l'articolo 283 del d.P.R. n. 207/2010 ha rinviato ai criteri e alle formule di cui all’allegato P, che prevede anche, per quanto riguarda la valutazione degli elementi di natura quantitativa, la possibilità di impiegare la seguente formula: V(a)i = Ra/Rmax, dove: Ra = valore offerto dal concorrente a Rmax = valore dell'offerta più conveniente.
(iii) Quando per l'aggiudicazione della gara viene prescelto il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa rientra nella discrezionalità della stazione appaltante la determinazione degli elementi e dei relativi pesi o punteggi e, tuttavia, la natura propria del criterio di cui trattasi postula la ricerca di un equilibrio tra il prezzo e la qualità, il quale equilibrio è, necessariamente, correlato alla specificità di ciascun affidamento.
(iv) “La predetta formula, come in precedenza ripetutamente evidenziato, è espressamente contenuta nell'allegato P, punto II, lett. b), del d.P.R. n. 207 del 2010 ed è, pertanto, pacificamente prevista puntualmente dalla specifica normativa in materia.
E, l'articolo 283 del d.P.R. n. 207 del 2010 in combinato disposto con l'articolo 83 del d. lgs. n. 163 del 2006, nella parte in cui richiamano le formule riportate nel richiamato allegato P nonché specificatamente la formula di cui trattasi, proprio in quanto contenuta nel predetto allegato, sono legittimi ed esenti dalle censure formulate in ricorso proprio in quanto conformi con le direttive comunitarie in materia da cui gli stessi derivano, atteso che, in realtà, rispecchiano proprio i principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza espressi dalle richiamate direttive.
E, infatti, i principi comunitari contenuti nella direttiva 2004/18CE e nella direttiva 2004/17CE, rispettivamente agli articoli 53 e 55, e recepiti in quanto tali nella normativa nazionale, prevedono espressamente che i criteri per la ricerca dell'offerta economicamente più vantaggiosa possano essere molteplici, proprio al fine di consentire alla stazione appaltante di perseguire nel modo migliore i propri interessi. È evidente, infatti, che, attraverso l'articolazione dei criteri di valutazione dell'offerta economica e dell'offerta tecnica ai fini dell'attribuzione dei rispettivi punteggi, l'amministrazione è in grado di indirizzare la formulazione delle offerte nel loro complesso in modo tale che le stesse possano in concreto perseguire gli obiettivi esatti da questa stessa individuati. E, nell'ambito della discrezionalità spettante all'amministrazione in materia, le stazioni appaltante hanno la facoltà di valorizzare al massimo l'elemento prezzo proprio attraverso la scelta di una formula matematica che consenta di realizzare il predetto obiettivo.
Peraltro la circostanza che, con il predetto criterio, non sia riflettuta sul punteggio attribuito l'esatta proporzione del valore reale dei dati economici è insito nel criterio stesso - il quale, appunto, si fonda sui ribassi ma non in modo rigidamente proporzionale quanto invece in modo progressivo - e non ne determina in alcun modo, da un punto di vista astratto, una sua intrinseca irrazionalità.
La perfetta simmetria tra le singole variazioni di prezzo offerto dai concorrenti ed il corrispondente punteggio attribuito alla relativa offerta economica, infatti, può essere perseguita attraverso il ricorso ad un distinto ed autonomo criterio di valutazione dell'elemento prezzo.
La valorizzazione del ribasso della base di asta insito nel criterio di cui trattasi - il quale si presenta particolarmente sensibile alle differenze di prezzo ipotizzabili tra le diverso offerte economiche proposte - consente, invece, di premiare al massimo l'offerta economicamente più conveniente.
Ma si tratta, appunto, di un criterio che, sebbene diverso da quello proporzionale indicato in ricorso ed auspicato da parte della ricorrente, non si presenta, appunto, di per sé stesso illogico né discriminatorio.
Il criterio di cui trattasi è, infatti, fondato sul meccanismo della progressività e non invece su quello della proporzionalità; e, per non incorrere nei vizi di arbitrarietà e di irragionevolezza, il suddetto meccanismo della progressività deve essere predisposto in modo tale da non determinare gli effetti distorsivi rilevati in ricorso e, pertanto, deve escludersi che possa assegnarsi il punteggio più elevato all'offerta economicamente più conveniente e che, altresì, il punteggio attribuibile alle offerte economiche possa oscillare, in maniera predeterminata, solo all'interno di un unico range più circoscritto rispetto alla fascia di fluttuazione tra il punteggio minimo ed il punteggio massimo fissato nella lex specialis di gara con conseguente valutazione dell'elemento prezzo rispetto a quanto previsto dalla stessa disciplina speciale di gara.
La predetta formula matematica la quale, appunto, è improntata al meccanismo della progressività non appare di per sé in astratto essere afflitta dai richiamati effetti distorsivi
”.

Testo della sentenza

Appalti pubblici, fase esecutiva. Alcune precisazioni della Corte di Cassazione in merito alle clausole contrattuali di divieto di cessione del credito.

Cassazione Civile, Sez.III, 11 novembre 2015 n.22984 .
L’art.117 comma 3 del Codice dei contratti pubblici stabilisce che “Le cessioni di crediti da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi al cedente e al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica della cessione”. Nondimeno, nella prassi, non è raro imbattersi in contratti pubblici d’appalto che prevedono il divieto di cessione, nell’intento di evitare che l’Impresa, per effetto della cessione, possa poi trovarsi sprovvista delle risorse economiche necessarie per concludere l’appalto.
La Cassazione, con la sentenza che si annota, ha specificato le condizioni di validità e di efficacia di tale ultima tipologia di clausole, nonché la loro opponibilità al terzo cessionario del credito.
Nel caso di specie, l’appaltatore aveva ceduto il credito inerente le lavorazioni effettuate per conto di una stazione appaltante pubblica ad un istituto di credito, nonostante la sussistenza, nel contratto di appalto, di una specifica clausola che tale cessione vietava. L'istituto di credito aveva chiesto invano alla stazione appaltante (debitore ceduto) il pagamento del credito, agendo poi in giudizio contro lo stesso debitore ceduto per far dichiarare inefficace il pagamento che quest'ultimo aveva nel mentre effettuato a favore dell'appaltatore (creditore cedente).
L’istituto di credito (cessionario) sosteneva, in particolare, che la clausola di divieto sarebbe stata invalida, perché non sottoscritta con le modalità previste dall’art.1341 comma 2 cod. civ. per le clausole particolarmente onerose; e che, in ogni caso, si sarebbe trattato di clausola ad essa non opponibile, per mancanza del requisito della conoscenza o conoscibilità concreta.
Ma, dopo due rigetti della domanda, in primo ed in secondo grado, anche la Corte di Cassazione ha respinto la pretesa dell’istituto di credito.
Con l’allegata sentenza, infatti, la Suprema Corte ha ritenuto insussistente la dedotta violazione dell’art.1341 comma 2 cod. civ., in quanto la specifica sottoscrizione della clausola non era avvenuta, come sostenuto dalla ricorrente, a seguito di un richiamo c.d. “in blocco” a tutte le precedenti clausole, bensì a seguito di una precisa indicazione di alcune specifiche clausole, corredata anche da una, benché effettivamente sommaria, indicazione del loro contenuto. In tal modo, ha proseguito al Suprema Corte, l'esigenza di tutela codificata nell’art.1341 cod. civ. risultava rispettata, dovendo ritenersi che l'attenzione del contraente, ai cui danni la clausola era stata predisposta, fosse stata adeguatamente sollecitata e la sua sottoscrizione fosse avventa in modo consapevole.
Quest'ultimo è infatti il discrimine per la validità delle forme di specifica approvazione ai sensi dell'art. 1341 c.c. (Cass., ord. 2 aprile 2015, n. 6747): a tal fine si deve ammettere l'idoneità di un richiamo al numero della clausola vessatoria (tra le altre, Cass., ord. 5 giugno 2014, n. 12708, ovvero Cass. 3 settembre 2007, n. 18525) e si deve negare quella di un mero richiamo cumulativo, a clausole vessatorie e non, ma soltanto se si esaurisca nella mera indicazione del numero e non anche, benchè sommariamente, del contenuto (tra le altre, v.: Cass., ord. 29 febbraio 2008, n. 5733, ovvero Cass., ord. 11 giugno 2012, n. 9492, nonchè, a contrario, Cass., ord. 24 febbraio 2014, n. 4404), oppure se sia prevista per legge una forma scritta per il contratto (Cass., ord. 5 giugno 2014, n. 12708; Cass., ord. 18 maggio 2015, n. 10119).
Con ulteriore censura, come si è anticipato in precedenza, l’istituto di credito aveva tentato di sostenere l’assenza di prova dell'effettiva conoscenza, da parte sua, della clausola di divieto di cessione. E ciò al fine di avvalersi del principio giurisprudenziale per il quale “il patto che esclude la cedibilità dei credito può essere opposto al cessionario dal debitore ceduto, in base ai principi dell'affidamento nella normale cedibilità dei crediti, ex art. 1260 c.c., comma 1, e dell'inefficacia del contratto nei confronti dei terzi, ex art. 1372 c.c., soltanto in quanto, ex art. 1260 c.c., comma 2, sia dimostrato che il cessionario abbia avuto conoscenza effettiva di detto patto al tempo della cessione” (da ultimo, v. Cass. 20 gennaio 2015, n. 825, ove riferimenti).
Ma la Suprema Corte ha rigettato anche questa tesi, ritenendo positivamente provato che, nella specie, si fosse realizzata un’effettiva conoscenza, sulla base della congiunta considerazione sia del richiamo al contratto di appalto nella stessa fattura oggetto della cessione, sia della natura e dell'importo del credito.